Diritti

I 70 muri che dividono il mondo

Secondo una ricerca del Transnational Institute, la maggior parte delle barriere alzate tra i Paesi sono state costruite nel 2005 e nel 2015. Di cemento, metallo e filo spinato, servono principalmente a proteggere i confini dall’immigrazione irregolare
L'opera dell'artista russo Dmitri Vrubel su una sezione del Muro di Berlino, con il bacio tra l'ex leader Urss Leonid Brezhnev e il tedesco Erich Honecker.
L'opera dell'artista russo Dmitri Vrubel su una sezione del Muro di Berlino, con il bacio tra l'ex leader Urss Leonid Brezhnev e il tedesco Erich Honecker.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
18 marzo 2022 Aggiornato alle 15:30

Settanta muri. Su 195 nazioni del mondo, quasi un terzo, negli ultimi 50 anni, ha costruito una barriera per separarsi da qualcosa o qualcuno.

È di Elisabeth Vallet, docente di Geografia all’università del Québec a Montréal, uno degli studi più approfonditi sull’argomento, dal titolo Borders, Fences and Walls: State of Insecurity?, ovvero: “Confini, recinzioni e muri: Stato di insicurezza?”. La domanda che si pone Vallet è: i muri contribuiscono a un senso di insicurezza tanto quanto placano le paure? La ricercatrice ripercorre i muri più storici, dalla Grande Muraglia Cinese al Vallo di Adriano, per esplorarne il ruolo nel corso dei secoli, da est e a ovest. Perché si tratta di elementi nati per scopi difensivi, che però rendono ancora più difficoltosa la fuga dalla povertà e dalla violenza per coloro che sono nati nell’angolo sbagliato del mondo.

Secondo lo studio pubblicato nel 2020 dal Transnational Institute, l’istituto internazionale di ricerca e advocacy impegnato a costruire un mondo giusto, democratico e sostenibile, almeno 6 persone su 10 vivono in un Paese con un muro di frontiera.

Persino l’Ucraina, il Paese invaso dal proprio vicino di casa e sotto i riflettori da un mese a questa parte, aveva un muro in costruzione. Fu, nel 2014, l’allora primo ministro ucraino Arseniy Petrovych Yatsenyuk ad annunciare un piano per fortificare quel confine che toccava la Russia. Voleva essere un nuovo inizio per il Paese coinvolto in una guerra con i separatisti sostenuti dai sovietici nella regione del Donbass, il territorio in Ucraina orientale citato di recente dal presidente Vladimir Putin perché i suoi abitanti (e non gli ucraini) hanno subito «un vero genocidio» per 8 anni.

Era stato uno scandalo di corruzione a rallentare i lavori: Vladimir Kulishov, direttore del servizio di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo, aveva detto che l’Ucraina aveva interrotto le operazioni di scavo per la mancanza di denaro da aggiungere ai finanziamenti russi del progetto. Nel corso degli anni il muro cambiò nome, da “Project Wall” a “Muro europeo”.

Ma il nome non cambia la sostanza, né l’obiettivo.

La maggior parte delle nuove barriere è stata costruita soprattutto nel 2005 e nel 2015, con un picco straordinario 7 anni fa, quando ne vennero eretti 14 sparsi tra Francia e Gran Bretagna, in Norvegia, Svezia, Austria, Ungheria, Polonia, Slovenia, Grecia, Bulgaria e Macedonia.

Il continente con il maggior numero di muri è l’Asia, con il 56% del totale, seguita da Europa (26%) e dall’Africa (16%).A vincere il premio del Paese con più muri in assoluto, è Israele, che ne ha 6. Seguono Marocco, Iran e India, Sud Africa, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Turchia, Turkmenistan, Kazakhstan, Ungheria e Lituania.

Secondo la ricerca, le motivazioni per decidere di erigere un muro sono state, fornalmente, le più disparate: in primis la prevenzione dell’immigrazione, poi del terrorismo, del contrabbando di merci e persone, del traffico di droga, il desiderio di risolvere controversie territoriali e il blocco di militanti stranieri.

Sul sito di World Population Review, un’organizzazione indipendente statunitense senza affiliazioni politiche che si impegna a rendere i dati demografici accessibili e comprensibili attraverso grafici e mappe, sono stati censiti i muri di confine del 2021.

Il primo dell’elenco è quello tra le due Coree, la “Zona Demilitarizzata” risalente al 1953: lunga 250 chilometri, fa da cuscinetto tra Nord e Sud della penisola in seguito a un accordo tra Pyongyang, la Cina e il comando delle Nazioni Unite. Vicino a Paju, in Corea del Sud, la separazione tra i due Paesi ha le sembianze di una rete piena di nastri colorati con cartoncini e appelli scritti che chiedono la riunificazione del Paese.

A proposito di riunificazione, più di dieci anni dopo, nel 1969, cominciò la costruzione delle peace lines”, nella città di Belfast. Volevano tenere separati i cattolici e i protestanti dell’Irlanda del Nord. Se i vari muri fossero messi uno di seguito all’altro e non fossero sparsi tra la capitale e altre città, terreno degli scontri confessionali dell’epoca, sarebbero lunghi 34 chilometri. La barriera, oggi meta turistica, avrebbe dovuto essere abbattuta entro il 2023, ma la Brexit ha cambiato le carte in tavola e minaccia di fare risorgere il conflitto fra cattolici indipendentisti e protestanti unionisti.

Per continuare sul filone delle linee, ce n’è una che prende il nome dal colore della matita con cui venne tracciata sulla cartina della capitale Nicosia: la Linea Verde fu costruita nel 1974 per dividere la Repubblica Turca a nord e la Repubblica di Cipro a sud, dopo il conflitto tra comunità greca e turca scaturito dalla nascita, nel 1960, della nuova Repubblica di Cipro. Ancora oggi i 180 chilometri di muro separano la Repubblica di Cipro e la Repubblica Turca di Cipro del Nord, stato non riconosciuto dalla comunità internazionale, ma solo dalla Turchia.

Nel 1989, in quello stesso anno in cui venne demolito il Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda, venne eretta una barriera tra India e Bangladesh. Quattromila chilometri di mattoni, reti metalliche e filo spinato per fermare il flusso di immigrati provenienti dal Bangladesh, bloccare traffici illegali e bloccare infiltrazioni terroristiche.

Un anno dopo e per lo stesso motivo, ovvero fermare i flussi irregolari di persone, cominciò la costruzione della barriera che separa Ceuta e Melilla dal Marocco: si tratta di due enclavi spagnole situate nella costa nord del Paese dell’Africa settentrionale. Le recinzioni, che sono due, si estendono per 8 e 12 chilometri, sono alte 7 metri e sono il primo muro eretto in Europa dopo la caduta di quello di Berlino.

Sempre nel 1990, l’India iniziò la costruzione del muro con il Pakistan, che divide in due la regione del Kashmir. La “Linea di Controllo”, lunga 550 chilometri, ha origine dalla linea di demarcazione militare del 1949, ed è stata completata nel 2004. Ci sono recinzioni elettrificate, filo spinato, pali metallici e telecamere termiche.

A proposito di nuove tecnologie, il muro tra Stati Uniti e Messico è datato 1994, sotto la presidenza di Bill Clinton, ma ha subito un rinnovamento durante la leadership di Donald Trump. Lunga oltre 1.000 chilometri, la barriera di Tijuana, o muro messicano, è stata rafforzata in 700 chilometri già esistenti e allungata di 83. Il progetto del tycoon è rimasto perlopiù incompiuto, e Joe Biden ha sospeso tutti i lavori. Eppure, quella barriera continua a bloccare i migranti irregolari messicani e il traffico di droga da quasi 28 anni.

Risale al 2002, invece, la data di inizio dei lavori del muro tra Israele e Cisgiordania: gli israeliani lo definiscono “chiusura di sicurezza”, i palestinesi “muro della vergogna”. Il sistema venne eretto in seguito all’inizio della seconda rivolta dell’intifada, nel 2000, ma iniziata nel 1987, in cui i palestinesi cercarono di ribellarsi all’occupazione da parte di Gerusalemme. Le fotografie al confine mostrano costruzioni diverse a seconda della zona: fuori dai centri abitati come Gerusalemme e Betlemme ci sono recinzioni elettroniche, filo spinato e fossati; dentro, mura di cemento con torri di controllo da nove metri di altezza. In totale, 708 chilometri.

Simile per lunghezza, il muro tra Iran e Pakistan datato 2007, eretto per proteggere il confine dalle infiltrazioni dei trafficanti di droga e dei gruppi armati sunniti. Tre anni dopo Israele e l’Egitto sono stati separati da una barriera lunga 230 chilometri volta a combattere terrorismo e immigrazione irregolare. Così come quella tra Arabia Saudita e Yemen, del 2013, lunga quasi 2.000 chilometri. Ad arginare i flussi migratori ci ha pensato anche la Bulgaria, che con 30 chilometri (per ora, ma il progetto ne prevede 160) di reti metalliche e filo spinato, vuole bloccare chi arriva da est lungo il confine con la Turchia.

Influenzato da ciò che accadeva intorno a lui, due anni dopo, il premier ungherese Viktor Orbán decise di adeguarsi a tutti gli altri: prima lungo la frontiera serba, con 170 chilometri di filo spinato e una rete metallica alta quattro metri. Bastarono pochi mesi, tra giugno e settembre del 2015, per erigere quel muro che tentò di fermare i migranti in fuga da Afghanistan, Siria, Iraq e Kosovo. Poi, stavolta per bloccare i croati da sud-ovest, toccò al confine con la terra di Zagabria. Qui la barriera misura il doppio: 348 chilometri.

Ma il più recente, tra quelli compiuti, rimane il muro tra Grecia e Turchia, ultimato ad agosto 2021, per bloccare i possibili flussi migratori dall’Afghanistan dopo la presa del potere da parte dei talebani. La recinzione, metallica e alta 5 metri, esisteva già. Misurava 12,5 chilometri, ora ne conta 40. Il 2021 ha visto anche la costruzione del muro tra Pakistan e Afghanistan, l’annuncio di un progetto tra Repubblica Dominicana e Haiti e, a fine gennaio, l’avvio della barriera tra Polonia e Bielorussia: sono previsti 186 chilometri per bloccare i profughi che scappano da Siria, Iraq, Yemen e Afghanistan. I lavori potrebbero essere completati entro la metà del 2022.

In questo elenco non sono state citate le barriere difensive, come quella in Marocco o quella tra Kuwait e Iraq. Per quanto le motivazioni siano diverse, la sostanza non conta: si tratta di muri che dividono Paesi, comunità, territori. Il Transnational Institute lo chiama “Global apartheid”, in riferimento alla segregazione razziale di cui i neri del Sudafrica si liberarono nel 1992. Segno che l’azione politica e la mobilitazione possono abbattere i muri che sembrano permanenti.