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Oscar 2024: 20 Days in Mariupol ha vinto come miglior documentario

Il docufilm di Associated Press e Frontline racconta l’assedio della città portuale ucraina caduta in mano all’esercito russo dopo 86 giorni di resistenza. Il numero delle vittime, secondo un funzionario della città, si aggira tra 22.000 e 50.000
Raney Aronson-Rath, Mstyslav Chernov e Michelle Mizner, vincitori del premio per il miglior documentario per "<i>20 Days in Mariupol</i>", tengono in mano i loro Oscar in sala stampa durante la 96&ordf; cerimonia annuale degli Academy Awards al Dolby Theatre di Los Angeles. Gli Oscar vengono assegnati per i migliori sforzi individuali o collettivi nel campo della cinematografia in 23 categorie.
Raney Aronson-Rath, Mstyslav Chernov e Michelle Mizner, vincitori del premio per il miglior documentario per "20 Days in Mariupol", tengono in mano i loro Oscar in sala stampa durante la 96ª cerimonia annuale degli Academy Awards al Dolby Theatre di Los Angeles. Gli Oscar vengono assegnati per i migliori sforzi individuali o collettivi nel campo della cinematografia in 23 categorie. Credit: EPA/ALLISON DINNER
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
11 marzo 2024 Aggiornato alle 11:30

Aggiornamento dell’11 marzo 2024

Alla 96° edizione degli Oscar 20 Days in Mariupol ha vinto come miglior documentario dell’anno. I premi assegnati dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences sono stati consegnati al Dolby Theatre di Los Angeles durante la cerimonia che si è svolta nella notte tra il 10 e l’11 marzo (ora italiana).

Come ha sottolineato il regista Mstyslav Chernov nel suo discorso di ringraziamento, «Questo è il primo Oscar nella storia ucraina. E ne sono onorato. Ma probabilmente sarò il primo regista su questo palco a dire che vorrei non aver mai fatto questo film. Vorrei poterlo scambiare con il fatto che la Russia non attaccherà mai l’Ucraina, non occuperà mai le nostre città».

Chernov, accompagnato sul palco dal team con cui ha realizzato il film, ha accusato la Russia di aver ucciso «decine di migliaia di connazionali ucraini. Desidero che liberino tutti gli ostaggi, tutti i soldati che proteggono le loro terre, tutti i civili che ora sono nelle loro prigioni. Ma non posso cambiare la storia. Non posso cambiare il passato».

E infine ha parlato direttamente alla platea di Hollywood, agghindata per la cerimonia: «Mi rivolgo a voi, che siete tra le persone più talentuose del mondo. Possiamo garantire che la storia venga messa in chiaro e che la verità prevalga e che la gente di Mariupol e coloro che hanno dato la vita non saranno mai dimenticati, perché il cinema forma ricordi e i ricordi formano la storia».

Articolo del 24 gennaio 2024

A 11 mesi dall’inizio di quella che il Cremlino ha definito “operazione militare speciale” in Ucraina i membri dell’Academy hanno stilato la lista delle nomination agli Oscar 2024, inserendo 20 Days in Mariupol tra i documentari che potrebbero ottenere la statuetta.

Il film, realizzato da Associated Press e Frontline, racconta i primi 20 giorni di assedio di Mariupol, la città portuale sulla costa sud-orientale dell’Ucraina caduta in mano all’esercito russo dopo 86 giorni di resistenza, e lo fa dal punto di vista degli unici giornalisti internazionali rimasti lì dopo l’invasione russa. Le loro immagini documentano bambini morenti, fosse comuni, il bombardamento di un ospedale, carri armati con la lettera “Z” che avanzano e molto altro. Secondo le stime fornite a The Guardian da Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco della città, e da una persona addetta alle sepolture, nella sola Mariupol le vittime potrebbero essere state tra le 22.000 e le 50.000.

Le riprese sono state realizzate durante le prime tre settimane dell’invasione russa: «La guerra è iniziata e noi dobbiamo raccontare questa storia», spiega nel documentario il regista, fotoreporter e corrispondente di guerra ucraino Mstyslav Chernov, che il 24 febbraio 2022 decide di recarsi a Mariupol, considerata uno degli obiettivi più probabili. Con lui gli altri membri del team: il fotografo Evgeniy Maloletka e la produttrice di Frontline Vasilisa Stepanenko. Il loro lavoro l’anno scorso è stato premiato con il Pulitzer per il servizio pubblico. L’Academy, insieme a Chernov, ha nominato anche le produttrici cinematografiche Michelle Mizner e Raney Aronson-Rath.

Il documentario “offre un resoconto vivido e straziante dei civili coinvolti nell’assedio, nonché una finestra su cosa significhi fare giornalismo da una zona di conflitto e sull’impatto di questo tipo di giornalismo in tutto il mondo”, spiega Associated Press, che ha ricevuto la prima nomination all’Oscar in 178 anni di storia della testata giornalistica. Secondo l’ultimo rapporto della European Federation of Journalists nel 2023 sono stati uccisi 120 giornalisti e operatori dei media in tutto il mondo: almeno 15 sono morti in Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022.

Si tratta di una storia personale, ha spiegato il regista, «non solo perché è raccontata dalla prospettiva di un giornalista, ma perché c’è quella di una comunità, la nostra gente». Chernov ha appreso della nomination mentre la sua città d’origine, Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, veniva bombardata dalle forze russe. Dei missili hanno colpito altre due città, provocando la morte di almeno 7 persone e ferendone 57, tra cui 8 bambini. I bombardamenti hanno danneggiato anche una trentina di edifici residenziali.

«È una sensazione dolce-amara, perché sappiamo che questo film rappresenta un’enorme tragedia per l’umanità, per gli ucraini è un’enorme perdita di vite umane e tutto ciò che possiamo fare è cercare di fare in modo che questa tragedia non venga dimenticata», ha detto Chernov poco dopo aver saputo della nomination agli Oscar. In Ucraina, in quasi due anni di assedio, più di 10.000 civili sono stati uccisi dalle forze armate russe e quasi 20.000 feriti, secondo le Nazioni Unite.

Il documentario è in lista insieme a Bobi Wine - The people’s president, che parla della campagna presidenziale del popolare cantante ugandese Bobi Wine contro il leader del regime al potere Yoweri Museveni; Four daughters, che racconta la storia di una madre tunisina quarantenne che assiste impotente alla radicalizzazione delle due figlie adolescenti, che si uniscono all’organizzazione terroristica Daesh in Libia; To kill a tiger, il cui protagonista è un contadino indiano che prende le difese della figlia tredicenne, violentata brutalmente da una banda di uomini; The eternal memory, la storia d’amore tra l’ex giornalista Augusto Góngora e l’attrice Paulina Urrutia, ex Ministra del Consiglio nazionale per la Cultura e le Arti del Cile, che diventa caregiver del marito quando gli viene diagnosticato il morbo di Alzheimer.

C’è un’altra pellicola, in lizza per il miglior film internazionale agli Oscar 2024, che racconta una storia drammatica e lo fa ispirandosi alle esperienza personali di alcuni migranti, tra cui quella di Kouassi Pli Adama Mamadoum, arrivato in Italia 15 anni fa dalla Costa d’Avorio dopo aver subito torture per 40 mesi in un campo di prigionia libico, e quella del minorenne Fofana Amara, arrestato e condannato in Italia come scafista dopo aver portato in salvo centinaia di persone su un’imbarcazione partita dalla Libia.

Si tratta di Io, capitano di Matteo Garrone, l’Odissea di due sedicenni senegalesi che sognano di diventare rapper in Europa e partono insieme, si separano, vivono la terribile realtà delle carceri in Libia, sono testimoni della traversata in mare che migliaia di persone compiono ogni anno in cerca di un futuro migliore. La pellicola è stata premiata con il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia 2023.

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