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Il meat sounding è davvero ingannevole?

Unionfood ha chiesto alla Commissione europea di bloccare il divieto di utilizzare nomi che evocano immagini associate alla carne per le preparazioni plant based, come “bistecca di legumi” o “salsicce vegane”
Credit: roam in color  
Tempo di lettura 5 min lettura
26 gennaio 2024 Aggiornato alle 16:00

Il 16 novembre, mentre si infiammava il dibattito sulla produzione della carne sintetica, l’Italia aveva varato un testo normativo che, oltre a vietarla, introduceva il divieto del cosiddetto meat sounding, ossia l’utilizzo dei nomi carnei su prodotti a base vegetale, suscitando ulteriori polemiche.

Ora, Unionfood, l’associazione italiana che rappresenta le categorie merceologiche alimentari di Confindustria, ha richiesto ufficialmente a Bruxelles un documento in cui chiede alla Commissione europea di cancellare il divieto. Ma ripercorriamo con ordine la vicenda.

Che cos’è il meat sounding

Il termine meat sounding si riferisce a una pratica di marketing – secondo alcuni ritenuta ingannevole – che coinvolge la promozione e la vendita di prodotti vegetariani o vegani attraverso l’uso di nomi che evocano immagini e suoni associati alla carne, come “polpette di ceci”, “bistecca di legumi”, “hamburger vegetali”, “salsicce vegane” e via dicendo.

I primi firmatari della proposta, Gian Marco Centinaio (Lega) e Giorgio Maria Bergesio (Lega), hanno sottolineato la natura ingannevole di questa pratica, che potrebbe confondere il consumatore: il cuore della questione, secondo i sostenitori, è garantire una maggiore trasparenza nel mercato alimentare e proteggere i consumatori da informazioni fuorvianti e guidarli in una scelta alimentare consapevole.

I favorevoli: tutela della tradizione

Le associazioni di categoria, i rappresentati degli allevatori e i settori specifici si schierano come ferventi sostenitori della normativa contro il meat sounding.

L’Accademia Macelleria Italiana, a esempio, aveva spiegato che il dilemma legato a questa pratica si concentra sul rischio di generare confusione nei consumatori dei prodotti. Se dunque dal punto di vista strategico di marketing il meat sounding è vincente, in quanto stimola la curiosità del consumatore interessato a esplorare le alternative ai prodotti tradizionali a base di carne, d’altra parte può indurlo a credere di acquistare un prodotto simile alla carne.

Un altro dei problemi risiederebbe nel fatto che questi prodotti plant based hanno caratteristiche diverse: infatti, se si considerano le differenze nutrizionali derivanti dall’utilizzo di ingredienti distinti, diventa evidente che tali prodotti forniscono al nostro corpo sostanze nutritive diverse. Inoltre – spiega sempre l’Ami – l’associazione di una specifica denominazione a un prodotto tende a suggerire determinati metodi di produzione e luoghi di provenienza.

Ancora, l’Istituto di valorizzazione dei salumi italiani aggiunge un ulteriore livello di preoccupazione, osservando che la pratica del meat sounding può danneggiare i prodotti di eccellenza della salumeria a indicazione geografica italiana, mettendo in pericolo il legame tra la denominazione del prodotto e la zona geografica di produzione.

I contrari: timori per il settore

D’altro canto, le aziende che producono e commercializzano prodotti vegetali, come Valsoia e Findus, si oppongono alla normativa. Per esempio, Andrea Panzani, amministratore delegato e direttore generale di Valsoia, aveva espresso già a novembre la sua preoccupazione sull’impatto negativo del cambio di denominazione dei prodotti, sostenendo che questo obbligo costituirebbe un danno sia per i consumatori che per l’intero settore, evidenziando il rischio di esclusione delle aziende italiane rispetto ai concorrenti europei e internazionali.

Inoltre, aveva spiegato che «la conseguenza potrebbe essere una spinta a valutare lo spostamento delle produzioni oggi in Italia oltreconfine».

L’appello di Unionfood

Anche Unionfood, l’Unione Italiana Food, ha sollevato una critica in merito: secondo l’associazione guidata da Paolo Barilla , infatti, i prodotti a base vegetale rispettano integralmente la normativa europea sull’etichettatura degli alimenti.

Tale regolamentazione, dunque, già garantisce un elevato livello di tutela dei consumatori riguardo alle informazioni sui prodotti. Inoltre, l’associazione sostiene che le imprese italiane operano nel settore da molti anni nel rispetto della concretezza e della trasparenza riguardo alle informazioni sulle caratteristiche dei loro prodotti, rispondendo alle esigenze sanitarie, etiche e ambientali.

Il settore, attraverso Unionfood, ha avanzato una richiesta alla Commissione europea affinché venga eliminata dalla legge la parte relativa al divieto di utilizzare nomi riferiti alla carne per prodotti a base di proteine vegetali, sottolineando che essi appartengono a un segmento di mercato in forte crescita.

Al momento, però, non esiste una “black list” di prodotti vietati, ma è attesa entro il 16 febbraio di quest’anno, anche se la falla sul divieto ai prodotti soggetti al meat sounding mostra i limiti tecnici e politici della legge, in quanto i prodotti in questione non violano alcuna legge nazionale o europea.

Sarà disposto il Ministro dell’Agricoltura a fare un passo indietro, almeno su questo aspetto?

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