Futuro

Smetto quando vogliono

I social network creano dipendenza e amplificano il passaparola. È tempo di regole per limitare l’impatto dei media dei giganti digitali attuali. Ma, soprattutto, è tempo di progetti. Per costruire i media del futuro
Credit: Igor Omilaev  

Tempo di lettura 4 min lettura
30 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

A San Francisco vivono più di 500 persone senza fissa dimora ogni 100.000 abitanti.

A Londra sono oltre 100, come a Washington, secondo le autorità locali.

I costi della vita quotidiana sono talmente elevati in quelle città che anche chi percepisce un reddito non è sicuro di salvarsi dalla povertà.

A Venezia le dimore sono abbandonate da una popolazione che preferisce vivere in un luogo dotato di servizi per i residenti e offrire la sua casa in affitto ai turisti.

L’Ocse mostra da tempo la riduzione dello spazio economico per il ceto medio e l’inceppamento dell’ascensore sociale.

Secondo il World Inequality Database, l’1% più ricco degli abitanti degli Stati Uniti percepisce oggi il 20% del reddito prodotto ogni anno, il doppio di quanto avveniva nel 1975. Questi e altri dati sono indicativi. Spiegano con banale chiarezza una delle ragioni del latente malessere che pervade le società che hanno scelto di lasciare libero corso alla concentrazione della ricchezza, nell’ipotesi che questa avrebbe efficientemente generato sviluppo.

E il malessere trova modo di esprimersi sui social network. Che lo amplificano automaticamente.

Le intelligenze artificiali più diffuse e il cui impatto è attualmente più grande, infatti, non sono ancora i large language model come ChatGPT: sono gli algoritmi di raccomandazione che governano l’accesso all’informazione degli utenti di social network.

E poiché questi sistemi hanno l’obiettivo di tenere le persone incollate alla piattaforma il più a lungo possibile, si sono evoluti in modo da privilegiare i messaggi più accesi, coinvolgenti, spesso arrabbiati e violenti, in un contesto ludico nel quale la competizione è orientata a conquistare traffico e “like”, magari costruendo personaggi artificialmente autentici, ma che danno voce a quel malessere. E lo alimentano.

Questi sistemi sono chiaramente diventati una consolazione per molti umani che attraversano questa fase storica tanto complessa e sfidante. Sono peraltro costruiti per conquistare attenzione e tempo delle persone, incessantemente e illimitatamente.

Anna Lembke, psichiatra a Stanford dove dirige la clinica che si occupa delle dipendenze, è piuttosto eloquente nel descrivere i sistemi composti da social network e smartphone come generatori di dipendenze.

Lembke ha studiato in passato la pericolosissima vicenda della diffusione di oppioidi in America. E ora si dedica ai social network che descrive come una vera e propria droga.

Il suo libro che affronta l’argomento si intitola Dopamine Nation: Finding Balance in the Age of Indulgence (Dutton 2021).

Molte fasi di grande trasformazione sono state accompagnate dalla diffusione di droghe. L’alcoolismo a Londra durante i primi decenni della Rivoluzione Industriale è stato descritto da molti storici e ripreso da Clay Shirky in Cognitive Surplus (Penguin 2010) e proponeva un parallelo con la dipendenza dalla televisione negli anni ‘90.

Oggi possiamo suggerire una certa continuità tra gli effetti sulla salute mentale di una parte della popolazione più fragile tra i media fondati sul modello di business della raccolta pubblicitaria: probabilmente si può riconoscere nelle esigenze del mercato pubblicitario una sorta di minimo comun denominatore tra una certa forma della televisione commerciale e un’interpretazione molto diffusa delle piattaforme per social network.

Si può immaginare che nel tempo le regole intervengano a mitigare gli effetti negativi di queste tendenze, proteggendo innanzitutto i minori ma anche l’insieme della società dagli abusi che purtroppo sono sempre possibili.

Le limitazioni ai media non risolvono il problema delle radici del malessere. La società ha bisogno di ricostruire una prospettiva di miglioramento. È del tutto possibile, considerando tutta l’innovazione che si può progettare per affrontare i problemi più importanti della contemporaneità, dell’ineguaglianza sociale al cambiamento climatico, dall’invecchiamento demografico alla protezione della biodiversità. E nuove interpretazioni delle possibilità offerte dai media digitali potrebbero nascere per aiutare ad andare in questa direzione. È tempo di scelte sulle regole dei media esistenti. È tempo di progetti per dare forma ai media del futuro.

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