Culture

Parole che bruciano tutto: 3 libri sulla violenza di genere

La storia di un matrimonio apparentemente d’amore ma che svela presto una violenza dalla quale è difficile allontanarsi. Il racconto lucido di uno stupro e di ciò che è stato dopo. Un thriller che porta nel mondo degli incel
Credit: cottonbro studio

Per combattere la violenza di genere dobbiamo prima di tutto imparare a riconoscerla. Renderla visibile. E, insieme, smettere di minimizzarla, normalizzarla, giustificarla.

Le narrazioni sono mezzi potenti perché possono svelare ciò che non vogliamo guardare e guidarci nell’interpretazione di fenomeni complessi, che hanno forme diverse e tutte connesse, aiutandoci a vedere le cause strutturali e la natura sistemica di esperienze che si è sempre voluto relegare dietro le porte chiuse delle abitazioni.

Le narrazioni aiutano a plasmare i modi in cui vediamo le cose. Per questo è così importante raccontare la violenza contro le donne, e farlo nel modo giusto. Come media, lo abbiamo detto spesso e lo abbiamo visto di nuovo negli ultimi giorni, non sappiamo ancora farlo. Per questo possiamo (e dobbiamo) fare meglio.

Oggi, però, vogliamo suggerirti 3 libri che parlano di violenza di genere, provenienti da Paesi diversi e lontanissimi, con prospettive e voci differenti. Storie unite da un unico filo rosso: la violenza che colpisce le donne a tutte le latitudini, emanazione di un sistema fondato su rapporti di potere squilibrati e sulla volontà di un genere di dominare l’altro.

Ogni volta che ti picchio, Meena Kandasamy, Edizioni e/o, pp. 240, 17€

Perché non lo lascia? E, più in generale, perché le donne non escono dalle relazioni violente? Il libro di Meena Kandasamy, poetessa, scrittrice, femminista e attivista prova a rispondere a questa domanda, raccontando il suo primo matrimonio con un docente universitario ed ex militante maoista. Una storia d’amore che inizia come tante ma che, come tante, presto mostra che l’uomo di cui ci si fida e con cui si immagina un futuro non è il principe azzurro senza macchia che si pensava.

Il racconto di Kandasamy non è lineare eppure è evidentissimo il dipanarsi della spirale della violenza, dalle prime limitazioni e forme di controllo - i vestiti, il trucco, i capelli, a cui seguono presto i social, le email, la scrittura - fino all’isolamento, la volontà di annullamento, lo stupro, la violenza fisica, il terrore.

Mostrando non solo i meccanismi di manipolazione e di ricatto emotivo da parte del maltrattante, ma anche la pressione sociale che incolpa la donna del matrimonio fallito. Perché non ha saputo, o voluto, adeguarsi al suo ruolo: stare zitta e accettare. “Il mondo ti riderà dietro […]. Neppure questo sarà altrettanto crudele della vista dei tuoi genitori affranti. Caduti in disgrazia. Hai dato loro soltanto delusioni. Il fallimento che si porteranno negli occhi per il resto dei loro giorni. […] Sarai costretta a vivere con una sola persona per tutta la vita: te stessa. Quella te che oggi vuole andarsene potrebbe essere la stessa te che domani penserà che sarebbe dovuta restare”.

X, Valentina Mira, Fandango Edizioni, 176 pp. 15€

La lettera che Valentina Mira scrive al fratello è il racconto di uno stupro. Il suo stupro. Ma è anche la storia del dopo. Sia di come quella violenza l’ha segnata sia di tutte le violenze e discriminazioni che ha incontrato nella sua vita, come survivor, come donna e come giornalista. Non è il libro di una vittima, ma di una scrittrice che racconta, senza fare sconti né indorare la pillola, quello che le è accaduto.

Un libro crudo, dolorosissimo, potente. Un libro che fa male, perché la violenza fa male e guardarla in faccia è spaventoso, perché la rende spaventosamente vera. Uno scritto che proprio per questo è imprescindibile, così lontano da quella pornografia del dolore e narrazione distorta in cui la stessa Mira è stata suo malgrado coinvolta durante un programma televisivo. Che cerca il sangue, i dettagli scabrosi, che vuole la storia toccante, indugia sulle lacrime, nasconde nomi e storie dietro una rappresentazione senza contorno della “vittima perfetta, lacrimevole e funzionale”.

Non c’è nulla di tutto ciò in questo libro, che ci insegna che raccontare la violenza senza romanzarla si può e, anzi, si deve.

Femminicidio, Pascal Engman, Salani, 480 pp., 18,90€

Potrebbe sembrare strano citare un thriller in una selezione di libri sulla violenza di genere, eppure questo romanzo svedese già dal titolo ci dice che la violenza sulle donne è il fulcro della narrazione. Quella violenza che nasce dalla prevaricazione dell’uomo sulla donna, dalla volontà di dominio e dal rifiuto di voler riconoscere il diritto alla libertà e all’autodeterminazione. Un modo di pensare – e troppo spesso agire – che non ha classe, stato sociale, provenienza o istruzione.

Questo non è un libro perfetto, ma dietro le trame di un’indagine che tiene col fiato sospeso aiuta (anche chi non vuole o non riesce a leggere storie come quelle che abbiamo appena visto) a riflettere sul fenomeno della violenza di genere in senso più ampio, puntando i riflettori su quegli “uomini che odiano le donne”: quelle che ritengono di loro proprietà e quelle che vogliono annientare perché non possono avere e credono neghino loro un diritto di nascita, e di sesso. E mette su carta un altro tipo di violenza, spesso poco conosciuta o dimenticata: quella degli incel, una delle emanazioni di quell’ecosistema oscuro che è la manosphere, fatta di uomini violenti sul web ma anche nella realtà.

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