Economia

Il reso è un problema per l’e-commerce

Spese di trasporto, stoccaggio e recupero dei prodotti restituiti al mittente dai consumatori pesano sempre di più sulle spalle delle piattaforme di acquisto online, che stanno introducendo nuove soluzioni tecnologiche
Credit: Liza Summer 

Tempo di lettura 6 min lettura
27 novembre 2023 Aggiornato alle 11:00

Acquistare prodotti nei negozi fisici è una pratica sempre meno diffusa in un mondo estremamente digitalizzato quale quello odierno.

Eppure, recarsi materialmente in un negozio si dimostra più efficiente degli store online quando parliamo di reso.

Provare un capo di abbigliamento, accorgersi che è troppo stretto e dunque cercarlo di una taglia più idonea per poi procedere all’acquisto implica decisamente meno sforzi se tutto ciò avviene all’interno del negozio, mentre invece quando si parla di e-commerce la questione implica più passaggi, con costi annessi.

Con la pandemia, le abitudini di consumo degli italiani (e non solo) hanno premiato il commercio online come principale modalità di acquisto di tanti prodotti, portando sempre più locali e negozi fisici a interfacciarsi con questo mondo attraverso una progressiva digitalizzazione del loro commercio, pur di rimanere sul mercato e sfruttare questo doppio binario di vendita per ampliare il loro bacino di utenza.

La gestione dei resi si è dimostrata fondamentale e complessa all’interno dell’ecommerce, tanto che anno dopo anno il tasso di restituzione dei prodotti appare in continua crescita.

Nel 2021 la National Retail Federation statunitense ha stimato che i consumatori statunitensi avrebbero restituito la merce acquistata nello stesso anno per un valore di oltre 761 miliardi di dollari.

Alla stessa conseguenza arriva anche un report diffuso dall’associazione del commercio britannica Imrg (Interactive Media in Retail Group) insieme al sito specializzato in ecommerce e trattamento dei resi ReBound Returns, secondo cui un quarto del totale dei consumatori restituisce dal 5 al 15% dei prodotti acquistati online.

La tendenza dei resi online è cresciuta a tal punto da trasformarsi in una vera e propria festività laica creata dalla società americana specializzata in trasporto pacchi Ups nel gennaio 2021, quando ha visto crescere il volume di resi giornalieri fino a 1,75 milioni, in aumento del 23% rispetto all’anno precedente.

Secondo il portale di controllo logistico spagnolo If Returns il tasso di reso dei prodotti fashion rappresenta il 20% degli acquisti in Italia, per giungere al 60% in Germania, dove la popolarità delle vendite dell’e-commerce è molto più elevata.

In Italia il diritto di recesso o di ripensamento - disciplinato dall’art. 52 all’art. 59 del Codice del Consumo - rappresenta una delle più importanti facoltà in capo ai consumatori, i quali nell’ambito degli acquisti online possono esercitarlo restituendo il prodotto entro 14 giorni, il tutto senza fornire alcuna motivazione e ottenendo il rimborso di quanto pagato.

Molte aziende adottano politiche di reso estremamente favorevoli a livello di tempi. Per esempio Beautylish, una nota azienda e-commerce di cosmetica, offre un periodo di reso di ben 90 giorni, che il sito di vendita di scarpe e vestiti statunitense Zappos estende addirittura a 365.

Nonostante una simile misura rappresenti una importante conquista nell’ambito del commercio internazionale e digitale, ridurre i tassi di reso è una delle grandi sfide che tutte le aziende nazionali e internazionali che operano online sono chiamate ad affrontare, in quanto a ogni prodotto restituito al mittente corrispondono elevati costi logistici, pari singolarmente a circa 8-12 euro.

Si tratta principalmente di spese legate al trasporto, unite poi ai costi operativi del magazzino necessari per gestire e immagazzinare le merci, oltre che alla loro sicurezza, e - come osserva Marcello S. Valerio, fondatore e ceo di IF Returns – i costi della «svalutazione del prodotto». Il fatto di essere stati già acquistati e parzialmente utilizzati (come, per esempio, una maglietta provata e poi restituita) fa perdere immediatamente al prodotto il suo originario valore.

Tutti i resi infatti devono necessariamente essere esaminati, igienizzati e reimpacchettati da zero, con un ulteriore aggravio di costi che rischia di non essere soddisfatto da una successiva vendita, poiché il prodotto potrebbe essere rimesso sul mercato in saldo. Un compromesso a cui le aziende devono necessariamente scendere dato che - sempre secondo una stima di If Returns - i resi venduti a prezzo pieno sarebbero meno del 55% del totale.

Fra le soluzioni maggiormente adatte a questo scopo, le aziende cercano sempre di più di convertire il rimborso di quanto pagato per il reso con un buono o gift card, attraverso il quale le spese di trattamento del prodotto restituito vengono compensate dall’uscita di un altro prodotto, e il prezzo già pagato dall’acquirente rimane praticamente intoccato nelle casse del venditore.

In un’ottica di disincentivo alla restituzione vi è anche la possibilità di scaricare l’intero costo di trasporto e logistica del bene restituito in capo al consumatore. Non più resi gratuiti e garantiti - che secondo – recente il sondaggio di Ivesp sarebbe apprezzato da 79% dei consumatori - ma con tariffe extra dai 3 ai 5 euro, adottate da parecchie società sia per prodotti di lusso ma anche da grandi marchi del fast fashion a basso prezzo come Zara e H&M.

Ma si sa che miglior modo per curare un problema è prevenirlo.

Di conseguenza diverse società hanno investito in tecnologie e tool digitali capaci di risolvere la causa che più di tutti porta i consumatori a restituire i capi di abbigliamento acquistati online, cioè i problemi di taglia.

Ecco dunque che per venire incontro alle esigenze del cliente, alcuni siti di e-commerce mettono a disposizione “strumenti di size prediction che aiutano il cliente a trovare la taglia corretta” grazie ai quali Giglio.com, guidata da Vincenzo Troia, è riuscita a chiudere il 2022 con un tasso di resi ridotto al 12%.

Anche l’intelligenza artificiale può rappresentare un’ottima risorsa per migliorare il dialogo con un potenziale cliente prima di un acquisto.

ChatGPT e altre chatbot di conversazione, infatti, vengono implementati nella propria piattaforma di e-commerce per fornire un assistente digitale immediato che possa rispondere a tutte le domande riguardo la vestibilità e la descrizione degli articoli.

Il commercio online dunque cerca di recuperare attraverso la tecnologia quella interazione tipica dei negozi fisici, in modo da rendere più efficiente l’intera esperienza di acquisto e ridurre i ripensamenti.

Il tema dell’abbattimento delle emissioni e della decarbonizzazione delle imprese passa anche dalle politiche di reso, dato che il trasporto e le restituzioni dei prodotti implicano lunghi spostamenti in camion e container, con notevoli ricadute in termini di impatto ambientale.

Ecco quindi che società di spedizione e logistica come Ups, Hermes e Dhl propongono consegne a zero emissioni mediante biciclette e veicoli elettrici, mentre FedEx si è impegnata ad annullare l’impatto ambientale di tutte le sue operazioni entro il 2040 elettrificando la sua intera flotta.

Il trasporto pacchi assume tutta un’altra importanza quando si interfaccia con servizi come Re-turn, con cui la piattaforma francese di ecommerce Veepee rivende gli articoli resi.

Dopo il suo ritiro, il prodotto è automaticamente inserito in una piattaforma dedicata già mentre è in transito verso i magazzini dell’azienda, e se nel frattempo verrà acquistato, verrà intercettato e reindirizzato verso il nuovo acquirente. Un modo per recuperare tutte le spese di trasporto e generare un ulteriore flusso di ricavi, nel rispetto dell’ambiente.

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