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Hai presente quelle famiglie che si trovano ogni anno per il pranzo di Natale, che il tagliere coi formaggi non fa nemmeno in tempo a finire il giro che già zio e zia hanno tirato fuori la questione dell’eredità, il nonno accusa la nipote di abuso del politicamente corretto e due cugini in cucina duellano a colpi di mestolo per quella vecchia storia della ragazzetta del liceo? Cop27 si presta a essere praticamente questa cosa qui.

Il percorso verso l’evento climatico dell’anno, quello in cui i Paesi dell’intero globo si incontrano a Sharm el-Sheikh in Egitto per scegliere come attuare le decisioni prese a Glasgow nel 2021, è così pieno di dossi che pare il dorso di un cammello geneticamente modificato per trasportare un intero gruppo di turisti.

Innanzitutto, c’è l’effervescente questione del greenwashing. Coca-cola sarà uno degli sponsor di questa edizione africana e l’annuncio ha spiazzato gli attivisti: tutti sanno che la Coca-cola è la bevanda dei fossili! Le rinnovabili vogliono il tè alla pesca, no?

Le principali associazioni hanno fatto notare all’Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), l’organo in capo alle conferenze sul clima, che l’azienda che ha inventato il Babbo Natale moderno è la stessa che regala al pianeta circa 200.000 bottiglie di plastica al minuto. Siccome il 99% della plastica prodotta nel mondo arriva da fonti fossili tramite un processo che emette gas serra, vedere Coca-cola svettare tra i grandi patroni di una conferenza contro la crisi climatica fa lo stesso effetto di trovarsi Sauron seduto al Consiglio di Elrond in mezzo a Gandalf, Frodo e compagnia (dell’anello).

L’imbarazzo è il vero grande sponsor di Cop27, e questo non giova ai negoziati. Arriviamo da mesi molto complicati sia a livello climatico che geopolitico. Immagina cosa deve provare un delegato di un Paese ricco e privilegiato che si siede allo stesso tavolo degli inviati del Pakistan, colpito in estate da una delle più estese alluvioni della sua storia. Magari per parlare proprio dei 100 miliardi di dollari che ogni anno sarebbero dovuti arrivare alle comunità più esposte agli eventi climatici estremi, e che invece non sono mai stati tirati fuori del tutto. “Smettila di fissargli il fango sulle scarpe!” si ripeterebbe, sudando.

Ancora: immagina l’imbarazzo di un partecipante che in mensa si mette sul vassoio un’insalata russa, per poi accorgersi che in fila dietro di lui c’è l’intera delegazione ucraina. Immagina se cinesi e americani fossero costretti a condividere la stessa scrivania illuminata da una lampada da lavoro made in Taiwan.

Altro ostacolo è la questioncina dei diritti umani. Il regime di al-Sisi, al potere dal 2014, non ha consentito grandi spazi di manovra per gli attivisti e non sembra volersi sbottonare troppo nemmeno con gli occhi del mondo puntati addosso. Starebbe anzi cercando di cancellare molti degli eventi già programmati per la prima giornata di Cop27, con la scusa della “sicurezza”, che si conferma un classico cavallo di battaglia dei totalitarismi.

A Glasgow fiumane di persone avevano affollato le strade delle città. Poi Truss (o Trrus?) ha dovuto lasciare Downing Street e al suo posto è arrivato Rishi Sunak, non un attivista ma nemmeno un negazionista. La sua relazione con clima e ambiente ha segnali incoraggianti e altri meno. Tra questi, il fatto che anche lui come Truss non voleva inizialmente partecipare di persona a Cop27. Ma l’opinione pubblica in subbuglio e la notizia che Macron avrebbe portato la sua celeberrima insalata di patate lo hanno infine portato a fare retrofront.

Ma in Egitto manifestare è - e sarà - decisamente più complicato. Attivisti e attiviste denunciano da tempo intimidazioni, minacce e attacchi da parte dello Stato. Non mancano gli arresti. In un contesto in cui si sommano, ironicamente, enormi problemi ambientali. Il Nilo, fonte del 95% dell’acqua utilizzata dagli egiziani, è terribilmente inquinato, metà dei suoi pesci sono immangiabili, le sue correnti trasportano tanta plastica da costruirci una piramide, come appunto stanno facendo alcuni gruppi ambientalisti che ancora non sanno se dentro metterci un finto faraone in PET o aspettare un colpo di stato.

Il corso stesso del Nilo sta diventando estremamente variabile a causa della crisi climatica, rendendo sempre più probabile l’alternarsi di siccità e alluvioni. Il regime guarda il bicchiere mezzo pieno: l’arrivo di un nuovo Mosè nella cesta sarebbe a quel punto molto difficile. Lì nei palazzi del Cairo non ci dormono la notte per come finisce Il Principe d’Egitto.

La verità è che anche la logistica della Conferenza è complicata, soprattutto da un punto di vista economico. Molti osservatori stanno rinunciando a trovare un alloggio a Sharm el-Sheikh a causa di una speculazione impazzita. Un abitante del luogo ha commentato che in città non si vedevano prezzi così alti dal diciottesimo di Cleopatra. Alcune stanze costano così tanto, ma così tanto che è quasi quello che spende un fuorisede a Milano.

L’atmosfera è dunque pesante. E non soltanto perché i livelli di concentrazione di anidride carbonica, metano e protossido di azoto hanno rotto ogni record nel 2021. I delegati si siederanno al tavolo delle negoziazioni consci di dovere parlare di mitigazione pochi giorni dopo l’annuncio da parte dell’Unep che “non ci sono più percorsi credibili per cui il riscaldamento globale saprà restare sotto un aumento di 1,5°C”. Salvo un ripensamento radicale di come funziona la nostra società. Ma, appunto, abbiamo detto credibile.

Ancora peggio, i delegati dovranno parlare di soldi, di tanti soldi, di miliardi. Sia quelli che mancano all’appello, come dicevamo prima, e con cui si aiuterebbero le comunità più vulnerabili a svilupparsi a basse emissioni e alta resilienza. Sia quelli che dovrebbero servire loro come risarcimento per le tante perdite e i tanti danni già subiti, causati da eventi climatici estremi la cui responsabilità è di altri. La stabilità della nostra intera società dipende dalla qualità del binomio Egitto e soldi, che non è stato così rilevante da quando Mahmood ha vinto Sanremo nel 2019. Clap clap.

Cop27 è un pranzo di Natale di una famiglia in lite, dove bisticci bilaterali si mischiano a recriminazioni multilaterali. Ma le famiglie hanno spesso quel qualcosa di magico che le unisce, nonostante tutto e nonostante tutti. Antonio Guterres, il nonno Libero delle Nazioni Unite, qualche settimana fa ha lanciato un accorato appello. Ha detto: «Cop27 è il luogo in cui tutti i Paesi mostrano di essere in questa lotta ed esserci insieme». In diplomazia, del resto, una parola è troppa, e due sono poche.

La crisi climatica, assieme a quella della biodiversità, è un nemico enorme e comune a tutti. Peggio delle eredità da spartirsi, i gap generazionali e i vecchi rancori amorosi. E Natale è quell’occasione dell’anno in cui tutti devono sforzarsi di essere più buoni. Quindi, mondo, facciamo un bel respiro, abbassiamo i toni, ricomponiamoci e arriviamo almeno al dolce.

Di Mattia Iannantuoni

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