Ambiente

Guarda chi si rivede: il carbone

I Paesi europei sono costretti a ripensare radicalmente le loro strategie energetiche. E l’Italia guarda alle 7 centrali che nella Penisola vengono alimentate con la fonte fossile più inquinante di tutti
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 marzo 2022 Aggiornato alle 17:00

Se dalla prossima settimana la società russa di stato Gazprom dovesse chiudere i rubinetti del gas, ciò non dovrebbe rappresentare un grosso problema per l’Italia. O almeno, non nel breve termine. L’Italia può infatti beneficiare di 2,5 miliardi di metri cubi di gas negli stoccaggi, oltre all’arrivo di temperature più miti, che dovrebbero comportare una significativa riduzione dei consumi da parte delle famiglie.

A dichiararlo è stato il presidente del Consiglio Mario Draghi che, intervenuto ieri al Sentato ha comunque specificato che l’Italia non può dipendere dalle decisioni di un solo Paese. «Ne va anche della nostra libertà, non solo della nostra prosperità». Oggi, è bene ricordarlo, importiamo il 95% del gas che consumiamo: di questo, il 40% proviene proprio da Mosca. Ma il governo è ora al lavoro per mitigare l’impatto di eventuali problemi sulle forniture energetiche.

Il decreto varato ieri all’unanimità dal Consiglio dei ministri per garantire aiuti all’Ucraina e al suo popolo prevede anche nuove norme per diversificare le fonti energetiche, riaprendo se necessario le centrali a carbone. In caso di emergenza, con la riduzione del consumo di gas naturale per il termoelettrico, Terna (la società che gestisce la rete elettrica nazionale) predisporrà «un programma di massimizzazione dell’impiego degli impianti di generazione di energia elettrica» (con potenza superiore a 300 Megawatt) che «utilizzino carbone o olio combustibile».

Le misure cui il governo sta guardando, in vista di un ipotetico blocco delle importazioni di metano da Mosca, prevedono l’incremento delle importazioni di gas da altri fornitori come l’Algeria. A questo proposito, il ministro degli Esteri Lamamra ha dato ieri il suo ok all’omologo italiano Di Maio «per aumentare le forniture di metano a favore dell’Italia nel breve, medio e lungo termine».

Al vaglio, c’è anche l’incremento della capacità di rigassificazione e un possibile raddoppio (dagli attuali 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno) della capacità del gasdotto Tap, che dall’Azerbaigian arriva in Puglia. E poi, come anticipato, incrementi temporanei nella produzione termoelettrica a carbone o petrolio che però, ha specificato il premier, «non prevedono l’apertura di nuovi impianti».

Se necessario sarà anche adottata una maggiore flessibilità sui consumi di gas in particolare nel settore industriale e termoelettrico.

La possibilità di ricorrere al carbone non ha incontrato l’approvazione di una parte del governo. «Presidente, le centrali a carbone, proprio come la guerra, vanno relegate e lasciate nel passato - ha dichiarato il senatore M5S Gianluca Ferrara, dopo le comunicazioni del premier Mario Draghi sugli sviluppi del conflitto in Ucraina - Anche perché i cambiamenti climatici potrebbero essere il conflitto più duro da dover combattere se non provvediamo subito con intelligenza e lungimiranza». In Italia le centrali a carbone sono 7. In totale gli impianti potrebbero contribuire al 15% all’approvvigionamento energetico nazionale.

Si tratterebbe comunque di una mossa temporanea: questi impianti, particolarmente inquinanti, entro il 2025 dovranno chiudere i battenti. Degli impianti presenti a La Spezia, Fiume Santo e Portoscuso (Sardegna), Brindisi, Torrevaldaliga (Lazio), Fusina (Veneto) e Monfalcone, cinque sono gestiti da Enel, quello friulano da A2A e quello di Portoscuso dal gruppo ceco Eph.

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