Cosa c’è sotto Venezia? Guida agli oggetti ritrovati in laguna

L’Ispra - Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale - classifica con dei codici gli ambienti naturali e Habitat 1150 è la classificazione dell’ambiente lagunare, con cui si intende un ambiente acquatico costiero con acque salate o salmastre, poco profonde, caratterizzate da notevoli variazioni stagionali in salinità e in profondità.
Questo è un ambiente acquatico in transizione, dotato di aree di basso fondale e che risente sia degli apporti delle acque dolci fluviali sia dell’influenza delle acque marine.
In sintesi a caratterizzare questo ambiente sono alghe, sale, ambiente marino e bassi fondali.
In Italia sono circa 700 chilometri quadrati in tutto le aree classificate come Habitat 1150. La sua distribuzione è diffusa nella maggior parte delle regioni costiere, con una netta prevalenza, in termini di superficie, nelle lagune dell’Alto Adriatico, proprio come quella di Venezia.
Un progetto fotografico sul cambiamento morfologico di Venezia
L’idea di fotografare cosa c’è sotto l’acqua nasce come progetto universitario: «Era la mia tesi di laurea», ha raccontato a La Svolta Lucrezia Ceselin, 23 anni, veneziana di origine e trasferitasi a Roma per studiare fotografia.
Ha deciso di indagare con il suo progetto di tesi il rapporto tra la laguna e i suoi fondali - o meglio, gli oggetti accumulati.
Necessario l’aiuto di un gruppo di gondolieri volontari che una volta al mese si immergono e ripuliscono i canali, portando alla luce oggetti, “tesori”, rifiuti e qualsiasi cosa si sia depositata in fondo alla laguna. «Ho avuto l’opportunità di entrare in contatto con loro, fotografando quello che di più strano portavano in superficie»,. Lo scopo era realizzare un “archivio subacqueo” della città che racconti il rapporto tra ambiente lagunare e azioni umane.
Gli oggetti spesso hanno una storia di anni, se non decenni, e sono influenzati dall’acqua e dal sale, così come la loro stessa presenza influenza - e modifica - l’habitat.
«Uno degli obiettivi era indagare proprio, attraverso questi oggetti, il cambiamento morfologico della città: le fondamenta che si sgretolano, l’intervento sempre più aggressivo dell’uomo stanno cambiando la laguna di Venezia».
Oggetti ritrovati: passato e futuro
Gli oggetti riportati alla luce sono in alcuni casi ben conservati, in altri modificati dall’acqua. «Ho selezionato quelli che ritenevo più particolari, perché più interessanti a livello visivo o perché con evidenti modificazioni».
Ci sono, per esempio, biciclette e carrelli. Ma anche un giocattolo e una bottiglia di Coca Cola forse risalenti agli anni ‘60, palloni da calcio, racchettoni da spiaggia, bottiglie, lampadine, scarpe (solo la suola), un libro, il fondo di un vaso per le piante.
A modificare questa varietà di oggetti sono principalmente la salinità e l’inquinamento.
Il mare accoglie questi oggetti portandoli a una lenta metamorfosi. Allo stesso tempo, però, queste cose diventano parte integrante dell’ambiente marino, interagendo e contribuendo alla sua evoluzione. Infatti, una delle missioni dei gondolieri sommozzatori è “ripristinare il naturale equilibrio ambientale”. Tra i loro ritrovamenti ci sono anche pneumatici, antenne, oggetti sanitari, in qualche caso resti archeologici.
Il rapporto tra oggetti è ambiente è duale: da un lato, quello che finisce nella laguna la modifica e inquina. Dall’altro, l’azione delle acque modifica gli oggetti, rappresentando quello che potrebbe fare anche a palazzi, mura e fondamenta della città.
Capire i fondali per capire Venezia
«La città di Venezia è sempre stata un luogo dove era difficile vivere, ma le comunità storicamente hanno trovato il modo di stare in armonia con l’ambiente», commenta Ceselin. «Tutte le decisioni prese per organizzare la città hanno sempre considerato l’ambiente circostante, oggi questo si è perso: l’azione antropogenica intacca l’ecosistema lagunare».
Ritrovare una così grande quantità di oggetti è un modo per riflettere sulla questione e invitare a ripensare l’atteggiamento verso la laguna.
Secondo Ceselin, bisognerebbe tornare alla consapevolezza precedente prima che sia troppo tardi.
«Questi oggetti costituiscono una metafora visiva ideale per dimostrare l’agire dell’acqua salmastra sulle fondamenta fragili e inermi della città».