Neet: l’Italia tocca quota 3 milioni

3 milioni di persone: sono quante, in questo momento, mancano all’appello nel mondo del lavoro. Stiamo parlando di giovani con un’età inferiore a 34 anni; sono i cosiddetti Neet - Not in Education, Employment, or Training. A determinare questa condizione, in molti casi, è un pesante divario tra scuola e mondo reale, costituito da aziende e attività produttive.
A scattare una fotografia precisa e ben dettagliata del rapporto che intercorre tra lavoro e scuola ci ha pensato lo studio internazionale di Gi Group in collaborazione con Fondazione Gi Group: Insieme per un futuro sostenibile: giovani e lavoro.
Lavoro: occhi puntati sui Neet
Lo studio si è focalizzato, appunto, principalmente sui Neet.
Il 20,8% dei cittadini con un’età compresa tra i 15 e i 34 anni non studia e non lavora. La percentuale sale, poi, se si prende in considerazione la fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni: siamo intorno a un 25,7%.
Sono 8 i Paesi presi in considerazione dallo studio: l’Olanda e la Svezia risultano essere i più virtuosi, mentre l’Italia, purtroppo, ha la maglia nera. Andando a vedere cosa succede Stato per Stato scopriamo che: in Spagna la percentuale è del 13,9%, in Francia del 12,8% e nel Regno Unito del 11,7%; passando per la Polonia, arriviamo al 11,7%; 10% in Germania e 5,8% in Svezia; infine, in Olanda è 5,4%.
Quali sono i motivi che possono determinare queste importanti differenze? A dare una risposta a questa domanda ci prova Stefano Colli-Lanzi, fondatore di Gi Group Holding: «la mancanza dei giovani al lavoro che riguarda quasi 3 milioni di persone è un dramma conosciuto di cui non sembra esserci la giusta consapevolezza e determinazione per invertire la rotta. Continua a prevalere l’attenzione per chi è dentro al mercato del lavoro. Le rigidità contrattuali, in una logica protezionistica, non permettono di gestire in modo efficace la longevità e il continuo differimento dell’età pensionabile portando a un de-giovanimento qualitativo degli organici aziendali».
Mondo del lavoro vs sistema formativo
Quello che sembra sostanzialmente mancare in Italia è una stretta sinergia tra il mondo della scuola e quello del lavoro. Iniziative come il Siisl, il Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa, servono a poco se un ragazzo smette di studiare a 16 anni.
Secondo Colli-Lanzi mancano figure in grado di identificare questi soggetti e riportarli su un percorso che sfoci nel lavoro. Qualsiasi politica attiva risulta essere poco funzionale, nel momento in cui manca una figura professionale in grado di accompagnare la formazione di una persona giovane.
Quello che appare abbastanza ovvio è che, al momento, esiste un’associazione diretta tra il fenomeno dei Neet e l’organizzazione del sistema formativo: nei Paesi in cui è presente un’alta vocazione professionale, le percentuali di giovani non occupati o che non studiano sono inferiori.
L’Italia: il Paese più debole
Purtroppo, in Italia continua a peggiorare il disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro. Il mondo della scuola e quello dell’impresa sono sempre più distanti.
«Nella centralizzazione del sistema scolastico, nell’assenza di un sistema duale o di percorsi professionalizzanti costruiti insieme alle aziende, nella totale separazione tra studio e lavoro e nella mancanza di percorsi di orientamento - spiega Colli-Lanzi - Alle politiche pubbliche (e quelle della NextGenerationEU) spetterebbe il compito di migliorare la formazione e l’orientamento dei giovani fino a renderli maggiormente occupabili. A contraddistinguere il nostro paese è però l’eccessivo ricorso a strumenti di politica passiva rispetto al limitato investimento in strumenti di politica attiva che rischia di disincentivare la partecipazione dei giovani al mondo del lavoro e favorire la loro permanenza in condizioni di inattività o, di illegalità, come è il lavoro nero».
Mancano gli studenti lavoratori
Altro fattore di debolezza italiano è costituito da una percentuale troppo bassa di giovani che studiano e lavorano contemporaneamente: sono solo il 2,7%. Mentre la media dei Paesi membri dell’Unione europea è 14,8%, l’ Olanda registra il 47%, la Germania 31,8%, il Regno Unito 18,6%, Svezia 15,1%, Francia 14,4%, Polonia 8,4% e, infine, Spagna 7,6%.