Economia

Cosa rischiano le imprese italiane in Russia

Il nuovo pacchetto di sanzioni Ue nei confronti di Putin è quasi pronto. Fiato sospeso per le 250 aziende del nostro Paese attive a Mosca. «Se si dovesse arrivare a un blocco, scambi e collaborazioni sarebbero penalizzati» commenta a La Svolta il presidente di Gim-Unimpresa Vittorio Torrembini
Tempo di lettura 4 min lettura
25 febbraio 2022 Aggiornato alle 16:20

La presenza industriale italiana in Russia è sempre stata solida, così come le relazioni diplomatiche tra i 2 Paesi. Il valore dell’export è di 7,7 miliardi di euro (+8,8% nel 2021), con 4,5 miliardi di euro investiti a Mosca. Nulla a che vedere con i numeri precedenti alla annessione da parte della Federazione Russia della Crimea nel 2014.

«Prima, tra import ed export eravamo intorno ai 30 miliardi di euro» spiega a La Svolta Vittorio Torrembini, presidente di Gim-Unimpresa, Associazione degli imprenditori italiani in Russia. Se per l’import le cifre si erano abbassate per il calo delle materie prime e dei prezzi, «per l’export eravamo quasi vicini ai dati del 2013. La situazione ora cambierà molto, in modo negativo».

Attualmente, sono 250 le imprese italiane che operano in Russia, un centinaio con attività produttive nel paese governato da Vladimir Putin. «I russi hanno interessi a mantenere buoni rapporti economici con l’Europa. Il problema è la percezione che l’Occidente avrà rispetto alle decisioni prese dal governo, che non sono le stesse dei russi», continua Torrembini, che non riesce a fare una previsione rispetto all’entità delle sanzioni e al loro impatto. «Se dovessero toccare una serie di settori, portando di fatto a un blocco, la situazione [per le imprese italiane] sarebbe davvero grave».

Anche Confindustria ricorda che l’export italiano sia già sceso all’1,5% dal 2,7% del 2014, interessando circa 11.000 imprese dalle 14.000 precedenti, mentre nello stesso periodo l’import è diminuito dal 5,2% al 3%. Il calo delle esportazioni italiane verso il mercato russo, conseguente al referendum in Crimea, è diffuso a tutti i principali settori, con picchi significativi nei beni di consumo: dall’arredamento (8% pre-sanzioni, 3% nel 2021), al legno (5,5% - 1,1%), all’abbigliamento (7,3% - 3,8%) ai prodotti in pelle (4,6% - 1,7%). «L’auspicio è che non si inneschi una spirale ritorsiva che, oltre a destabilizzare ulteriormente l’area, penalizzerebbe scambi, investimenti e collaborazioni industriali già gravemente compromessi dalle sanzioni in essere dal 2014, aggravandone gli effetti diretti e indiretti», scrive la Confederazione generale dell’industria italiana in una nota, augurandosi che «ogni eventuale ulteriore misura venga assunta in maniera il più possibile speculare e coordinata».

Proprio negli ultimi anni, tra gli esempi virtuosi, l’Italia aveva ulteriormente consolidato la sua presenza industriale nella regione di Lipetsk, una delle più dinamiche aree economiche della Federazione russa. La provincia, a 400 chilometri a sud di Mosca, ospita una delle zone economiche speciali (ZES) russe di maggior successo con un discreto numero di aziende italiane attive in diversi comparti. Conosciuto per essere un importante distretto metallurgico, sono stati proprio gli italiani a dare la svolta per la crescita di Lipetsk: l’apripista fu Indesit che arrivò nel 2000 e avviò la più importante filiera russa dell’elettrodomestico. Oggi, tra gli italiani che operano nella zona economica speciale figurano Ilpea nei componenti in plastica e gomma, Unionwire nei cablaggi, Alu-Pro e Fenzi nella filiera del vetro, Sest Lu-Ve e Fondital nelle tecnologie per refrigerazione, condizionamento e riscaldamento. Tutte in attesa di sapere quale sarà il loro futuro, tra sanzioni e controsanzioni.

Leggi anche
giornalismo
di Maria Michela D'Alessandro 3 min lettura