Siamo Foresta, l’allegoria di un mondo possibile

L’essere umano non è altro che un nodo nel complesso sistema globale dell’universo, solo che a volte - diciamo pure il più delle volte - se ne dimentica.
L’emergenza climatica dovrebbe agire come un catalizzatore, elevare il livello di consapevolezza e spingerci ad approfondire la connessione profonda che esiste tra l’umanità e l’ambiente naturale ma ciò sembra non bastare.
La mostra Siamo Foresta allestita alla Triennale di Milano si inserisce perfettamente in uno scenario sempre più pressante e cruciale per spingerci a una maggiore presa di coscienza, oltre a ricordarci il nostro legame ombelicale con la natura.
L’esposizione raccoglie le opere di ventisette artisti e artiste provenienti da diverse nazioni, culture e contesti, in gran parte dell’America Centrale e meridionale.
Il percorso si snoda attraverso vari nuclei tematici e presenta anche tre collaborazioni tra artisti e artiste, autoctoni/e e non, che hanno dato vita a dialoghi e creazioni originali: Sheroanawe Hakihiiwe, appartenente alla tribù Yanomami del Venezuela, e l’artista francese Fabrice Hyber, che hanno lavorato insieme la scorsa primavera; Adriana Varejão di Rio de Janeiro e Joseca Mokahesi, membro della tribù Yanomami del Brasile, nel 2003; e, infine, la più recente collaborazione tra Ehuana Yaira, yanomami brasiliana, e l’artista di origine cinese Cai Guo-Qiang.
Questa esposizione mira a esplorare il tema sempre più attuale del rapporto tra l’umanità e la natura e a veicolare un messaggio particolarmente rilevante, soprattutto per gli artisti delle comunità native americane che hanno una profonda comprensione delle interconnessioni che legano gli esseri umani all’ambiente circostante. Le loro prospettive e rappresentazioni artistiche non solo amplificano questo concetto, ma ne rivelano l’essenza stessa.
Queste comunità hanno storicamente mantenuto una relazione intima e reciproca con la natura, riconoscendo che ogni azione umana ha un impatto diretto sugli ecosistemi e sulla vita che li circonda. Il loro stile di vita, le pratiche culturali e le conoscenze riflettono una profonda armonia con l’ambiente naturale, come dimostrano le tradizioni sciamaniche. Pertanto, i loro contributi artistici all’esposizione non solo esplorano le complesse interazioni tra l’uomo e la natura, ma fungono anche da veicolo per condividere e preservare tali conoscenze fondamentali.
Questo tema è particolarmente significativo in una città come Milano che è stata profondamente influenzata dai cambiamenti climatici, come nel caso del nubifragio dello scorso 25 luglio che aveva colpito pesantemente lo spazio urbano, compresa l’area della mostra che era stata chiusa per alcune settimane.
L’intento due curatori artistici, l’antropologo Bruce Albert (coautore di La caduta del cielo. Parole di uno sciamano yanomami, Nottetempo, 1088 pp., 35 €) e il direttore artistico della Fondation Cartier pour l’art contemporain, Hervé Chandès, è dunque quello di creare una mostra che vada oltre l’aspetto esteriore e diventi un’esperienza di auto-riflessione, che stimoli costanti interrogativi sul nostro ruolo come esseri umani. Un esercizio importante soprattutto per coloro che vivono in una realtà occidentale, abituati da secoli a un atteggiamento verso la natura basato su richieste e pretese piuttosto che sul rispetto e l’armonia.
L’allestimento creato dall’artista brasiliano Luiz Zerbini propone dunque al pubblico un’indagine immersiva del rapporto tra natura ed essere umano: le opere d’arte, nascoste in bella vista fra le foglie delle piante tropicali nei corridoi simil naturali, insieme ai video ci riportano ai contesti creativi delle comunità latino-americane, consentendoci di estendere il nostro sguardo.
La mostra infatti non pone solo in risalto artisti che si collocano al di fuori dai soliti confini e provengono da contesti extra-occidentali, ma mette in discussione i dogmi dell’antropocentrismo e dello specismo che hanno condizionato anche l’arte occidentale.
Siamo Foresta con le sue opere intende esaltare l’approccio adottato dalle comunità delle Americhe che vivono in una profonda interconnessione tra esseri umani, animali e piante, una relazione così intrinseca che il benessere di ciascun elemento dipende da quello degli altri. Questo legame è bidirezionale: le modifiche in uno degli elementi determinano e influenzano gli altri.
Questa mostra è l’allegoria di un mondo possibile anche se viviamo in uno in cui, per citare Lucrezio, le “generazioni usurpano le generazioni”.
Il titolo stesso dell’esposizione vuole fare della foresta un simbolo rappresentativo di un possibile modo di vivere che prescinde dalle iper-strutture che regolano le relazioni tra individui, con l’ambiente vegetale e animale.