Ambiente

Metano: ne emettiamo il 70% in più, ma si può intervenire

All’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina, un ragionamento su questo potente gas serra appare sembra più urgente. Secondo l’Aie, ne perdiamo ogni anno una quantità equivalente a quella impiegata nel settore energetico europeo
(Chris Liverani)
(Chris Liverani)
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
25 febbraio 2022 Aggiornato alle 07:00

In un contesto emergenziale come quello attuale, scatenato dal conflitto in Ucraina, sembra sempre più importante trovare nuovi strumenti e approcci nella gestione delle fonti energetiche.

A tal proposito, il metano rappresenta un interessante caso-studio. Potente gas serra che, rispetto all’anidride carbonica, permane meno tempo in atmosfera (circa 12 anni) ma la riscalda fino a 80 volte in più, questo idrocarburo è stato al centro del nuovo report dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie). Un sua riduzione, ha avvertito l’Aie, avrebbe un rapido effetto sulla limitazione del riscaldamento globale e il miglioramento della qualità dell’aria.

Ebbene, in base ai dati raccolti nel rapporto Global Methane Tracker 2022, a livello mondiale il settore energetico produce il 70% di metano (CH4) in più rispetto a quanto dichiarato ufficialmente dai governi. Parte del problema dipende dalle perdite non rilevate da gasdotti e impianti.

A tal proposito, l’Agenzia ha fatto sapere che se nel 2021 tutte le perdite di metano dalle operazioni relative ai combustibili fossili fossero state catturate e vendute, i mercati del gas naturale sarebbero stati riforniti di 180 miliardi di metri cubi di gas naturale. Una quantità equivalente a quella utilizzata in un anno nel settore energetico europeo e «più che sufficiente ad allentare la rigidità del mercato odierno».

Tuttavia, come anticipato, gli inventari nazionali sulle emissioni climalteranti del metano sono sottostimati. E questo inficia sulla nostra consapevolezza del problema, così come sui dati alla base dei rapporti redatti dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc).

L’Aie ha fatto sapere che nel 2021 le emissioni complessive di metano provenienti dal settore energetico (il 40% del totale) sono state di 135,2 milioni di tonnellate (+5% rispetto al 2020). Di questi, la quota maggiore proviene dall’estrazione del carbone, seguito da petrolio e gas.

L’Agenzia, per la prima volta, ha anche indicato le emissioni Paese per Paese, portando alla conclusione che Cina, Russia, Stati Uniti e India sono gli Stati che hanno maggiormente prodotto questo gas climalterante.

Riguardo le fughe di metano, per il 2021 sono state rilevate grosse perdite in 15 Paesi, come il Texas e alcuni Stati dell’Asia centrale, con il Turkmenistan che da solo risulta responsabile di «un terzo degli eventi di grandi emissioni osservati da satelliti nel 2021».

È stato possibile arrivare a questa conclusione anche grazie all’uso dei dati satellitari. Attualmente, sono in fase di sviluppo nuovi strumenti che forniranno una risoluzione più elevata, una maggiore copertura e con soglie di rilevamento più sensibili. «Questi includono EnMAP, Carbon Mapper, SBG, CHIME ed EMIT e MethaneSAT, che mirano a fornire immagini ad alta risoluzione per aree selezionate ad alta priorità». Migliorando la nostra consapevolezza del problema.

L’Aie ha però sottolineato che, nonostante i dati misurati continuino a migliorare, la copertura fornita dai satelliti è ancora lontana dall’essere completa. «Quelli esistenti non forniscono misurazioni sulle regioni equatoriali, sulle operazioni offshore o su aree settentrionali come le principali aree russe produttrici di petrolio e gas».

Tuttavia, l’incertezza sui livelli di emissioni non deve rappresentare un pretesto per ritardare un nostro intervento. «È possibile ottenere importanti riduzioni con tecnologie note e con politiche collaudate che hanno dimostrato di funzionare efficacemente», ha spiegato l’Agenzia nel report.

A tal proposito, dobbiamo ricordarci che lo scorso novembre, nel corso della COP26 di Glasgow, oltre 110 Paesi (Italia compresa) hanno stretto un accordo, il Global Methane Pledge, per abbattere entro il 2030 il 30% delle emissioni globali di metano rispetto al 2020.

Un atto che, secondo il direttore dell’Aie Faith Birol, «deve diventare un momento fondamentale negli sforzi internazionali per ridurre le emissioni». Diversi Paesi che non hanno aderito a questa iniziativa sono produttori di combustibili fossili che vengono esportati nei Paesi firmatari. Per questo, secondo l’Aie, gli importatori dovrebbero spingere gli Stati produttori a ridurre le loro emissioni nel settore energetico utilizzando «pressioni diplomatiche, incentivi, supporto tecnico e istituzionale e misure commerciali».

«Il metano è il secondo maggior contributore al riscaldamento globale – ha sottolineato il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans – La rapida riduzione delle sue emissioni è quindi una parte fondamentale dei nostri sforzi per affrontare la crisi climatica. Come stabilito nel Global Methane Pledge, abbiamo bisogno di dati più precisi. Misurando, segnalando e verificando, sapremo dove i tagli alle emissioni sono più urgenti».

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