Futuro

Il futuro della moda è a base di CO2

La startup Rubi e il contemporary luxury brand Ganni hanno dato vita a uno speciale filato, creato dall’azione di enzimi in grado di catturare le emissioni di carbonio e trasformarle in cellulosa
Credit: Rubi.earth
Tempo di lettura 4 min lettura
26 luglio 2023 Aggiornato alle 18:00

Mentre l’impatto dell’industria della moda e dell’abbigliamento sta diventando sempre più imponente e sempre più distruttivo per l’ambiente e per il Pianeta (si tratta della terza filiera più inquinante al mondo) c’è una startup che ha deciso di viaggiare contro corrente, in direzione di un’industria più sostenibile, iniziando a sperimentare - nel suo laboratorio di San Leandro - l’utilizzo di particolari enzimi per catturare le emissioni di carbonio e trasformarle in cellulosa, utile per realizzare tessuti sostenibili e con un’impronta di CO2 negativa.

Si tratta di Rubi, un’azienda biochimica della California che sta sviluppando una tecnologia – in attesa di brevetto - che permette di raccogliere e riciclare, in ottica ecologica, il carbonio per utilizzarlo nella creazione di tessuti sostenibili.

L’azienda è stata fondata nel 2020 dalle sorelle Neeka e Leila Mashouf e oggi può già vantare finanziamenti dal valore di circa 8 milioni di dollari (9 milioni di euro) e collaborazioni con grandi brand della moda di lusso, come Ganni, per realizzare i primi tessuti e capi climaticamente neutri.

Non un brand a caso, quello pensato e scelto da Rubi per brevettare il suo “tessuto a base di CO2”: Ganni, infatti, è un brand scandinavo di lusso, fondato nel 2009 da Nicolai e Ditte Reffstrup e certificato B Corp dallo scorso settembre, che da sempre sottolinea il suo profondo impegno nella tutela dell’ambiente, dichiarandosi paladino di una moda sostenibile, lavorando per garantire che il 100% delle sue collezioni sia realizzato con materiale riciclato certificato, tessuti organici o a basso impatto e promettendo una riduzione del 50% delle sue emissioni di carbonio entro il 2027.

Intanto, ha interrotto l’utilizzo della pelle vergine animale nella sua linea di abbigliamento, con la promessa di eliminarla gradualmente anche dalle collezioni di scarpe e accessori entro la fine del 2023.

«Nel pensare a quale brand potesse essere adatto a collaborare con Rubi per dare vita a questo progetto pilota, la scelta di Ganni è stata quasi ovvia - ha affermato una delle fondatrici e Ceo della startup - il loro impegno per un futuro positivo per il pianeta si allinea perfettamente con la nostra missione e non potremmo essere più entusiasti di collaborare con loro per contribuire a dare vita al nostro prodotto».

Solo poche settimane fa, Ganni aveva rilanciato un ambizioso progetto di riciclo finalizzato a riutilizzare 12 tonnellate di scarti di cotone all’anno.

Ora, con la partnership stretta con Rubi nell’ ambito del suo progetto Fabrics of the Future” - programma dedicato alla ricerca e allo sviluppo di materiali che contribuiranno a creare un’industria della moda più circolare e a basso impatto - ha svelato nel corso del Global Fashion Summit di Copenaghen i primi campioni del tessuto creato artificialmente e neutro in termini di risorse: una miscela formata da filato di cellulosa Rubi al 20% e da ulteriore cellulosa industriale standard.

Come ha spiegato Neeka Mashouf, il processo del tessuto di Rubi imita il funzionamento degli alberi: gli alberi respirano CO2 e usano gli enzimi - proteine che aiutano le reazioni - per convertirla in cellulosa.

All’interno dei reattori industriali, l’azienda fa sostanzialmente la stessa cosa, creando, grazie all’azione degli enzimi, dei polimeri di cellulosa che viene sfruttata, poi, per produrre il filato di lyocell, da utilizzare per realizzare indumenti e altri oggetti.

«Le innovazioni dei tessuti, come Rubi, giocheranno un ruolo cruciale nel portare la moda al punto di decarbonizzazione, ma affinché ciò accada, i marchi devono scommettere, correre rischi e investire in innovazioni», ha affermato Nicolaj Reffstrup, fondatore di Ganni. «Ci sono ancora molte cose di cui non sappiamo la risposta, ma lavorare con partner innovativi come Rubi dà molto ottimismo per pensare a come potrebbe essere il futuro di quest’industria».

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