Lucon-Xiccato: «L’ambiente orienta le abilità cognitive e ci aiuta contro le malattie»

Il sistema nervoso, insieme al cervello, resta tra «gli aspetti più misteriosi» della biologia umana. L’Università di Ferrara lo studia nell’ambito del progetto nazionale “Mnesys - A Multiscale integrated approach to the study of the nervous system in health and disease”, finanziato dal Ministero della Ricerca e dell’Istruzione tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
In particolare l’ultimo esperimento sui pesci Guppy, condotto dall’ateneo, svela che finora l’importanza dell’ambiente nell’orientamento delle capacità cognitive potrebbe essere stata «sottostimata» in favore dei geni.
I risultati dell’indagine, in futuro, potrebbero quindi essere applicati per «aiutare pazienti con problematiche del sistema nervoso», spiega a La Svolta il dottor Tyrone Lucon-Xiccato del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife, co-autore dello studio, coordinato dal professor ordinario di Zoologia Cristiano Bertolucci.
Insieme alla dottoressa Giulia Montalbano, hanno analizzato in laboratorio i processi di apprendimento, dimostrando il ruolo fondamentale dell’esperienza e della plasticità fenotipica, cioè la capacità di sviluppare caratteristiche differenti a partire dalla medesima componente genetica. La ricerca è stata pubblicata sull’autorevole rivista di biologia evoluzionistica Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences.
Per iniziare, è possibile spiegare in modo semplice perché non sono solo i geni, ma anche l’ambiente, a orientare la nostra capacità cognitiva? Come intervengono l’esperienza e il comportamento nelle differenze individuali?
È noto che il fenotipo cognitivo di un individuo, cioè quelle caratteristiche della cognizione che un ricercatore può misurare con un test o un questionario, è in parte dovuto a una componente genetica e in parte a un effetto dell’ambiente. Questa situazione è comune alla maggior parte degli elementi del fenotipo.
In altre parole due gemelli monozigoti, e quindi geneticamente identici, avranno un fenotipo cognitivo ma anche un fenotipo morfologico molto simile rispetto a quello di qualsiasi altro individuo, a causa della componente genetica dello stesso. Ma il fenotipo dei due gemelli non sarà esattamente identico perché le esperienze di ciascuno modificheranno la componente non genetica del fenotipo. Per esempio, se uno dei gemelli fa più sport potrebbe avere muscolatura più sviluppata e se l’altro gemello legge di più potrebbe avere una memoria più allenata.
La capacità del fenotipo di variare a seconda dell’ambiente è detta plasticità e si pensa sia dovuta principalmente al processo evolutivo: se il fenotipo è plastico, è più probabile che gli individui riescano ad adattarsi al loro ambiente. Per esempio, uscendo dall’ambito cognitivo, si sa che le Dafnie, piccoli crostacei d’acqua dolce, sviluppano - tramite la plasticità - delle placche di protezione quando nell’ambiente ci sono dei predatori.
Ci può raccontare e spiegare l’esperimento condotto sulla colonia di Guppy, i piccoli pesci d’acqua dolce?
Abbiamo cercato di studiare la plasticità cognitiva estremizzando l’esperienza degli individui. Abbiamo diviso in due la nostra colonia di pesci e a ciascuna metà abbiamo assegnato un ‘ambiente’ opposto. Nel primo ambiente le risorse alimentari erano prevedibili, cioè il cibo veniva distribuito sempre nello stesso posto della vasca e sempre allo stesso orario. Nel secondo ambiente, il cibo era distribuito casualmente in differenti zone della vasca e a differenti orari, quindi le risorse non erano predicibili. Questo trattamento è durato dalla nascita fino a circa un mese di età.
I due gruppi di soggetti esposti a situazioni così differenti hanno sviluppato un fenotipo cognitivo differente. I pesci dell’ambiente prevedibile sono risultati più veloci in un test di apprendimento in cui dovevano imparare a selezionare un determinato colore tra due opzioni per ottenere un rinforzo alimentare. Una volta appresa la scelta del colore corretto, abbiamo cominciato a rilasciare il cibo solo quando il pesce sbagliava e sceglieva il colore precedentemente errato. In questo test che si chiama appunto reversal learning, i soggetti dell’ambiente non prevedibile hanno più rapidamente cominciato a selezionare il ‘nuovo’ colore corretto, dimenticandosi del vecchio.
Perché per questo studio erano indicati proprio i pesci e i Guppy in particolare?
Abbiamo un gran numero di dati precedenti su questa specie e sappiamo che è tra quelle più capaci in termini di risoluzione di compiti cognitivi. Quando si studia la cognizione, esistono problematiche notevoli riguardanti la validità dei metodi per la specie di studio. Per esempio alcuni animali sono prettamente visivi, come l’uomo, e possono apprendere facilmente discriminazioni di colori o forme, mentre altre specie usano l’olfatto e vanno studiate con esperimenti basati su stimoli olfattivi. Per i guppy, il nostro gruppo di ricerca sapeva già quale tipo di esperimenti avrebbe funzionato, appunto perché la specie è stata precedentemente studiata. A questo si aggiunge anche un motivo teorico: abbiamo precedente visto che gli individui di guppy mostrano sostanziali differenze cognitive. Per esempio, in alcuni test abbiamo visto individui effettuare una manciata di errori, mentre altri risolvere il compito solo dopo centinaia di errori. Siamo quindi interessati a capire perché questa specie mostra tanta varianza cognitiva.
Perché questo studio è importante? Quali saranno le sue possibili applicazioni future? Aiuterà a combattere determinate patologie?
La nostra ricerca sulla plasticità cognitiva sta interessando i colleghi di discipline più applicate e infatti il Ministero ha finanziato più volte i nostri studi. In particolare, l’interesse ruota attorno al fatto che se certi trattamenti ambientali o esperienze aumentano una determinata capacità cognitiva negli animali, forse possiamo effettuare terapie simili per aiutare pazienti con problematiche del sistema nervoso. In parte alcune di queste terapie sono già somministrate, ma probabilmente c’è molto di più che possiamo fare.
Qual è quindi il ruolo dell’ambiente rispetto alle capacità cognitive?
La nostra scoperta più innovativa non è solo che l’ambiente può alterare le capacità cognitive, un fatto che è dato ormai per scontato. La vera novità sta nell’estensione dell’effetto dell’ambiente. Con un semplice trattamento, abbiamo ottenuto colonie di pesci con fenotipo cognitivo diametralmente opposto, un gruppo più efficiente ad apprendere e un gruppo più flessibile ed efficiente a dimenticare. Quindi possiamo concludere che forse abbiamo in passato sottostimato l’importanza dell’ambiente a favore di quella dei geni. Rimane un dubbio su quanto generalizzabile sia questo ragionamento. I pesci hanno infatti un sistema nervoso che sebbene mostri il funzionamento di base degli altri vertebrati ha delle caratteristiche peculiari. Per esempio, il cervello dei pesci continua a produrre incessantemente nuovi neuroni per tutta la vita, mentre in altri vertebrati, incluso l’uomo, la neurogenesi da adulto è molto più limitata. La plasticità cognitiva dei pesci è dunque la norma o un caso eccezionale? Ancora non sappiamo rispondere a questa domanda.
A che punto siamo nello studio del sistema nervoso? Quali sono le difficoltà principali da affrontare in questo ambito di analisi?
Nel 21simo secolo il sistema nervoso, e in particolare il cervello, rimane uno degli aspetti più misteriosi della biologia umana. Le problematiche ci sono per tanti motivi, non ultimo il fatto che le proprietà emergenti del cervello, come la mente, non sono direttamente visibili. Se un ricercatore osservasse al microscopio il cervello di Einstein, non troverà indicazioni sul fatto che Einstein abbia avuto il potenziale per comprendere alcuni dei grandi principi della fisica. Invece, osservando la muscolatura di un soggetto, è possibile capire se abbiamo di fronte un atleta con grandi potenziali sportivi oppure un impiegato sedentario. È proprio per questa difficoltà intrinseca di comprendere la mente umana che gli studi su modelli animali relativamente semplici sono fondamentali. Con pesci e alcune specie di invertebrati, per esempio, abbiamo a disposizione modelli di cervello più semplici, da studiare con maggiore precisione.