Economia

Se il salario minimo è più elevato, ci sono più elettori

Uno studio del MIT di Boston rivela come paghe base più alte possano aumentare le probabilità che le persone votino alle elezioni
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28 febbraio 2022 Aggiornato alle 09:00

Che l’incremento dello stipendio faccia bene al portafogli lo sapevano tutti da tempo, ma che potesse influire sulle probabilità che una persona voti alle elezioni, un po’ meno. Al MIT di Boston alcuni ricercatori hanno voluto studiare il fenomeno politico, sociale ed economico, affermando che le misure relative al salario minimo possono influire positivamente sul voto dei cittadini.

Lo studio ha rilevato che a New York City, l’aumento della paga base a metà degli anni 2010 ha aumentato l’affluenza alle urne da 2 a 3 punti percentuali tra coloro che guadagnavano cifre molto basse. Inoltre, esaminando le contee degli Stati Uniti degli anni Ottanta, i ricercatori hanno scoperto che un aumento dell’8% del salario minimo è associato a un aumento complessivo dell’affluenza alle urne di un terzo.

Nel paper scientifico pubblicato sul Journal of Politics, i ricercatori hanno utilizzato una doppia strategia empirica. In primo luogo, hanno esaminato i dati relativi al voto dei dipendenti pubblici della città di New York prima e dopo gli aumenti del salario minimo nel 2014 e nel 2015. In un secondo momento, hanno confrontato i cambiamenti nel voto tra i lavoratori che percepivano una paga base con i modelli di affluenza alle urne tra gli elettori non interessati dagli aumenti, in modo da isolare meglio l’effetto della modifica delle politiche economiche.

Negli Stati Uniti, il salario minimo federale ammonta a 7,25 dollari l’ora dall’ultimo aumento avvenuto nel 2009 – nel 2014 è stato aumentato in 27 Stati e nel Distretto di Columbia, dove si registra il più alto con 15,20 dollari l’ora.

In Italia il salario minimo non è attualmente previsto: nel nostro Paese si è sempre optato per una contrattazione collettiva che indica accordi tra le parti interessate, dai quali prendono forma i cosiddetti contratti collettivi nazionali, con cui si stabiliscono i parametri e le regole fondamentali cui dovranno attenersi i contratti di lavoro individuali. Nella Ue, in 21 sui 27 Stati membri è stato già introdotto; secondo un rapporto dell’Eurostat, 13 Nazioni prevedono un compenso minimo al di sotto dei 1000 euro.

Come ha sottolineato Ariel White del MIT, lo studio non determina esattamente il motivo per cui si voti di più all’aumentare dello stipendio: una delle ipotesi è che migliori condizioni economiche portino le persone ad avere più di tempo per votare, o una migliore capacità logistica per farlo. Un’altra ipotesi è che ricevere un aumento renda gli elettori più aperti al valore del voto. Con più soldi con cui vivere, quindi, si avrebbe anche più tempo per pensare all’intenzione di voto e alla partecipazione alle elezioni.

Da sempre gli analisti politici sono interessati a indagare le caratteristiche degli elettori: in Italia, il sondaggio Quorum/YouTrend presentato nell’estate del 2019, ha analizzato le intenzioni di voto incrociandole con il titolo di studio. I due partiti che mostravano una maggiore variabilità a seconda del titolo di studio erano +Europa e il Movimento 5 Stelle: il movimento guidato da Benedetto Della Vedova ha convinto solo l’1,6% di chi aveva un titolo non superiore alla licenza media e il 2,7% di chi si è diplomato, ma ha raggiunto il 14,8% tra i laureati, mentre al contrario tra gli elettori pentastellati solo il 12,8% aveva conseguito una laurea - il 19% aveva sostenuto l’esame di maturità e il 20,3% non è andato oltre l’esame di terza media.

Anche Fratelli d’Italia ha mostrato un trend simile al Movimento 5 Stelle: a fronte di una media dell’8,8%, il partito di Giorgia Meloni ha raggiunto il 10,8% tra chi ha un titolo di studio inferiore o uguale alla licenza media, calando al 7,8% tra chi ha terminato le scuole superiori e al 6,1% tra chi ha concluso almeno un ciclo di studi universitario.

Per la Lega di Matteo Salvini si è passati dal 32,1% tra chi non è andato oltre il primo grado della scuola secondaria al 31,8% tra i diplomati e al 31,4% tra i laureati.

I dati italiani hanno evidenziato come il tasso di astensione e indecisione, invece, varia sensibilmente a seconda del titolo di studio, aumentando da chi possiede titoli di studio non superiori alla licenza media (46,5%) a chi ha un diploma (48,7%) e una laurea (50,3%).

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