Ambiente

Riforestiamo le nostre città

Il manifesto dell’archistar Stefano Boeri e dell’urbanista Maria Chiara Pastore è quanto mai attuale oggi: qui il loro invito a ripopolare di superfici vegetali tetti, piazze, cortili per aiutare l’ecosistema. E abbattere le discriminazioni ambientali
Il Masterplan per le aree Stazione, ex IFIP ed ex PP1.
Il Masterplan per le aree Stazione, ex IFIP ed ex PP1.
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15 febbraio 2022 Aggiornato alle 08:00

L’espansione repentina delle aree urbane sta modificando strutturalmente l’intera relazione città/natura. Le città consumano cibo, energia e acqua, producono inquinamento, rifiuti e acque reflue. L’equilibrio tra urbanizzazione e natura è spesso a carico di quest’ultima e “consumo di suolo”, “deforestazione”, “perdita di biodiversità” sono solo alcune delle parole che associamo all’urbanizzazione.

Le città, pur occupando solo il 3% della superficie terrestre, lasciano un’impronta enorme in termini di impatto sul clima; consumano il 75% delle risorse naturali e producono oltre il 70% delle emissioni globali di CO2.

Il concetto di “metabolismo urbano”, introdotto per la prima volta nel 1965 da Abel Wolman, in seguito a studi sui più ampi cambiamenti associati alla “grande accelerazione” del dopoguerra in termini di capacità e consumo industriale, ci riferisce che “la Terra è un sistema ecologico chiuso e (…) il Pianeta non può assimilare senza limiti lo spreco non trattato della civiltà”.

Se per secoli le città hanno contribuito a promuovere alcune delle più grandi idee dell’umanità, è oggi importante e urgente portare le città, tra i principali attori della questione ambientale, in prima linea nell’affrontare e contrastare – se non addirittura provare a invertire – il cambiamento climatico.

Se l’Europa del secolo scorso è nata intorno all’acciaio, possiamo pensare che una nuova Europa e una nuova Italia possano davvero nascere oggi dai boschi, dal legno e dall’economia straordinaria che questi possono generare, innescando un universo di immaginari e di attività economiche e culturali di grandissimo potenziale.

Come riporta il Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia, “a livello italiano le foreste coprono un territorio pari a circa 11 milioni di ettari (secondo l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio 2005, con aggiornamento 2015), più del 30% della superficie nazionale”.

La superficie impermeabilizzata in Italia si attesta invece sul 10%, con una grande accelerazione negli ultimi 50 anni, e si tratta di “un tessuto che – a parità di superficie urbanizzata – origina dalla crescita nel tempo della città in forma estremamente diffusa, quasi polverizzata, con densità bassissime e su un territorio molto vasto, in una condizione dove il margine urbano non è tracciabile e la città sfuma nella matrice con diversi gradi di periferia”.

D’altra parte, a causa dell’abbandono delle campagne e dei piccoli centri rurali, sono cresciuti spontaneamente boschi e foreste.

Contrariamente a quanto accade di solito, in Italia l’urbanizzazione non è andata in controtendenza ma, anzi, in parallelo all’incremento delle superfici boschive: questo rende il territorio italiano unico al mondo, nonostante la “cultura del legno” nel nostro Paese sia ancora molto debole e frammentata.

Non è noto, per esempio, che forestazione non significa crescita incontrollata: la selvicoltura naturalistica, attraverso un taglio che rispetta i cicli di vita della pianta, è una garanzia per la qualità dei boschi e per la loro biodiversità, oltre a essere condizione necessaria per renderli produttivi.

Da qui, il legno come una delle possibili risposte per contribuire a risolvere la questione italiana: un territorio fragile, messo in difficoltà da condizioni sismiche e idro-geografiche delicate.

Forestazione significa lottare contro la progressiva erosione dei boschi e, in Paesi come l’Italia, significa riutilizzare la risorsa del legno come volano per nuovi processi di sviluppo. Significa cercare di potenziare la diffusione che le foreste hanno sul nostro territorio. Significa mettere a rete le aziende che lavorano il legno, soprattutto nel settore degli arredi e, ancora troppo poco, nel campo della prefabbricazione edilizia.

Significa immaginare una filiera del legno su scala nazionale che gestisca l’intero ciclo produttivo, dalla selvicoltura al taglio, dalla selezione dei legni alla lavorazione, dal design alla prefabbricazione modulare, fino alle ultime fasi di smaltimento e riciclo.

Si tratta di un materiale in grado di adattarsi a un’enorme varietà di soluzioni, che non possiede di per sé una caratteristica stilistica e che può sostituire elementi e componenti della produzione edilizia senza definirne e condizionarne il linguaggio: dai mattoni in legno agli odierni esperimenti in corso in Canada e in Europa per costruire in altezza strutture di edifici interamente in legno, pensare al legno come sinonimo di “cottage” o “chalet” è ormai un pregiudizio anacronistico.

Inoltre il legno, per le sue qualità di elasticità, leggerezza e flessibilità, è un materiale perfetto per intervenire in contesti a elevato rischio sismico, particolarmente presenti in Italia.

Forestazione significa soprattutto lavorare nelle città, ripopolandole di superfici vegetali, portando gli alberi sui nostri tetti, nelle piazze, sui marciapiedi e nei viali, creando nuovi parchi e giardini, trasformando cortili e vuoti urbani in oasi verdi, promuovendo ovunque orti urbani, potenziando l’agricoltura urbana e utilizzando le radici degli alberi per bonificare i suoli inquinati urbani e peri-urbani.

La forestazione, dunque, potrà permettere di ristabilire un equilibrio, a livello locale e globale nel rapporto tra città e natura, diventando così elemento strutturale di rigenerazione.

Da Il Capitale naturale in Italia, a cura del Comitato Capitale Naturale e Connect4Climate, Edizioni Ambiente, 2018

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