Diritti

Di shopping aspirazionale, idealizzazioni e altre sventure

Prendiamo la t-shirt un po’ più stretta perché pensiamo sia quella giusta per non essere “sbagliati” (tanto quel chiletto si perde). Ma poi, ci sentiamo davvero bene?
Credit: Baylee Gramling
Tempo di lettura 4 min lettura
4 giugno 2023 Aggiornato alle 06:30

Quando parliamo di shopping aspirazionale ci riferiamo a quella voglia di acquistare vestiti, abiti o qualsiasi tipologia di outfit che idealmente vorremmo ci rappresentasse. Rincorriamo l’immagine che abbiamo visto da qualche parte: che sia su una rivista o in un contenuto social poco importa. Ci proiettiamo con forza verso qualcosa che ci sembra essere così bello e quindi così altrettanto giusto.

Dov’è il problema?

La verità è che il problema non c’è, o almeno non riguarda direttamente la nostra passione più o meno accentuata di fare compere, bensì la nostra gestione e capacità critica di intendere e riconoscere quello che stiamo idealizzando.

Cambiare, aver voglia di vedersi valorizzati e valorizzate, imparare qualcosa di nuovo dalle 1.000 guru dello styling (alcune più competenti di altre) è una spinta costruttiva, e in questo non c’è nulla di male. Dopotutto, secondo una vecchia ma sempre vera citazione, chi dice che i soldi non fanno la felicità è solo perché non sa dove andare a fare shopping.

E quindi ci chiediamo, ancora una volta: dov’è il problema?

La bella stagione sembra essere davvero arrivata: sentiamo la temperatura che aumenta e la voglia di concederci un acquisto nuovo; sentiamo anche la commessa del negozio che con la voce melliflua e utilizzando il migliore dei suoi sguardi benevoli ci dice: “ma non è lei che è ingrassata, è la maison che fa le taglie piccole”.

Ed eccoci lì, davanti allo specchio, con indosso quel capo di abbigliamento che ci fa respirare solo in parte per quanto è stretto o che addirittura non si chiude. Ci sentiamo nudi o nude, anche se non lo siamo e cerchiamo di attaccarci a qualsiasi cosa per sentirci meno sbagliati.

In fondo, forse, la commessa ha ragione: è tutta colpa di quella maledetta maison e se dobbiamo proprio raccontarcela tutta, l’estate sta arrivando e noi saremo sicuramente in grado di perdere quei maledetti centimetri di troppo.

Il danno è fatto. Abbiamo appena confuso il gesto di comprare qualcosa per valorizzarci (e perché davvero ne avevamo voglia) con l’atto di acquistare quel capo di abbigliamento coltivando la speranza di motivarci a perdere una o due taglie.

Perché può diventare dannoso?

Intanto, per dovere di cronaca, è doveroso spoilerare che nella maggior parte dei casi non funzionerà. Semplicemente su quella taglia in meno scritta sul cartellino stiamo proiettando la nostra necessità di essere motivati e motivate e quando ci renderemo conto che quel genere di spinta motivazionale non sarà sufficiente e non funzionerà, come ci sentiremo?

Altro spoiler: ci sentiremo delusi, soli e di nuovo tristemente sbagliati. L’unico sbaglio (se così possiamo chiamarlo) è quello di aver idealizzato un’immagine di sé non rispondente alla realtà e imposta da canoni dati da una società che ci dimostra sempre più spesso di aver dimenticato i valori davvero importanti.

Perché idealizziamo qualcosa o qualcuno?

Spesso lo facciamo come meccanismo di difesa, quando ci sentiamo costretti ad affrontare idee, paure, sentimenti o sensazioni spiacevoli. Immaginiamo che ci sia qualcuno, o qualcosa, che possedendo caratteristiche uniche e speciali da noi attribuite ci possa sollevare da tutta la negatività che ci circonda.

Quindi: shopping sì o shopping, no?

In realtà, diciamo sì a qualunque cosa ci faccia sentire davvero meglio, sì a qualunque motivazione genuina che ci faccia raggiungere obiettivi di benessere reale, condivisi e non imposti da qualcun altro.

Diciamo sì anche al percorrere la strada verso la riscoperta di valori che troppo spesso vengono accantonati e, infine, sì anche allo shopping: magari più consapevole, più esperienziale e un po’ meno aspirazionale.

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