Futuro

Covid: un solo vaccino per tutte le varianti è possibile

Il meccanismo studiato dall’Istituto Superiore di Sanità prende di mira la proteina N, che a differenza della Spike non muta. I test preclinici sui topi danno buone speranze
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
14 febbraio 2022 Aggiornato alle 19:00

È nell’aria un nuovo vaccino efficace contro tutte le varianti di SARS-CoV-2? Secondo l’Istituto Superiore di Sanità sì, e lo dimostrano i test preclinici condotti, per ora, solo sui topi. Lo studio, pubblicato su Viruses, un mensile open access pubblicato dall’editore di riviste scientifiche MDPI, Multidisciplinary Digital Publishing Institute, si concentra su una proteina comune a tutte le varianti, la N, che non mostra nessuna mutazione nel momento in cui il virus si replica.

Secondo i ricercatori del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto superiore di Sanità, autori della pubblicazione, questa proteina rileverebbe una protezione duratura anche su cariche virali elevate. Finora è stata testata sui topi, ma l’auspicio è che risulti efficace anche sull’uomo. Questo rappresenterebbe una vera svolta nella lotta alla diffusione del virus che limita le nostre vite da più di 2 anni, ora che l’Agenzia europea dei medicinali ha mostrato che l’efficacia dei vaccini contro la variante Omicron è inferiore e tende a diminuire nel tempo.

Per capire di cosa si tratta, bisogna ripassare il modo in cui si genera una variante: durante l’infezione il virus entra all’interno della cellula utilizzando una o più proteine presenti sul suo involucro più esterno, e nel caso di SARS-CoV-2 si tratta principalmente della celebre proteina Spike, divenuta ormai parte del nostro vocabolario quotidiano.

Una volta entrato, rilascia il suo materiale genetico contenente l’informazione necessaria per moltiplicarsi nella cellula infettata e farle produrre tanti nuovi virus. La cellula infettata, obbligata a leggere e decodificare l’informazione contenuta nel genoma, produce copie di RNA virale e di tutte quelle proteine necessarie per formare i virus “junior”: quando le variazioni interessano le proteine presenti sull’involucro esterno, la Spike per esempio, forniscono una maggiore capacità di diffusione e propagazione dell’infezione al nuovo virus, cioè alla variante.

A luglio 2021, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, le varianti di SARS-CoV-2 sotto osservazione erano 11, e la maggior parte di loro presenta numerose mutazioni della proteina Spike, il che le rende molto resistenti agli anticorpi, sia quelli generati dal vaccino che quelli sviluppati nel corso dell’infezione naturale. La proteina N, presa in considerazione dallo studio preclinico dell’Istituto Superiore di Sanità, è comune a tutte le varianti ma non presenta quasi nessuna mutazione tra quelle finora note. Il nuovo meccanismo, spiegano i ricercatori, potrebbe superare i limiti degli attuali vaccini sul decadimento degli anticorpi e la perdita di efficacia contro le varianti emergenti.

Entra in campo, in questo caso, l’”ingegnerizzazione delle nanovescicole naturalmente rilasciate dalle cellule muscolari”. Ma che cosa significa ingegnerizzare? Letteralmente “modificare il corredo genetico di un organismo con tecniche di ingegneria genetica”. E in che cosa consiste questo sistema? A spiegarlo è Maurizio Federico, responsabile del Centro Nazionale per la Salute Globale e autore senior dello studio: «Tutte le cellule rilasciano costantemente minuscole vescicole a base lipidica definite vescicole extracellulari e la tecnica messa a punto in ISS è in grado di caricare queste nanovescicole naturali con proteine di SARS-CoV-2. Queste nanovescicole così ingegnerizzate vengono elaborate dal sistema immunitario in modo da generare una forte immunità cellulare orchestrata da una famiglia di linfociti identificata come linfociti CD8».

Secondo gli studi condotti finora, questo può generare una reazione immunitaria nei topi tale da indurre una sostanziale protezione dall’infezione con cariche virali molto elevate, generando anche una memoria immunitaria a livello delle vie respiratorie, condizione essenziale per un effetto duraturo di qualsiasi strategia vaccinale contro patogeni respiratori.

In base agli studi futuri, che stabiliranno parametri come, a esempio, la sicurezza della piattaforma vaccinale e la sua tollerabilità, si capirà l’efficacia di questa scoperta. “Sarà inoltre necessario comprendere se eventuali vaccini sviluppati con il nuovo meccanismo debbano essere integrati da forme di immunizzazione basate sulle tecnologie attualmente in uso, per esempio basate su mRNA”, spiegano dall’Istituto Superiore di Sanità.

Anche se le persone non vaccinate in Italia si attestano a quota 9%, le somministrazioni sono e resteranno sempre l’arma più efficace contro la pandemia, soprattutto ora che le varianti del virus Sars-CoV-2 proliferano: i vaccini “ad ampio raggio” come questo, potrebbero davvero cambiare le carte in tavola.

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