Diritti

Parità di genere: cosa dice la Costituzione?

In occasione della Festa della Repubblica, ripercorriamo gli articoli della Carta costituzionale che parlano di uguaglianza, scritti dall’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno
Credit: Hadis Safari
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
2 giugno 2023 Aggiornato alle 20:00

Una delle foto più note legate alla Festa della Repubblica, che si celebra oggi, ritrae il volto di una ragazza sorridente davanti al titolo “È nata la Repubblica Italiana” che il Corriere della Sera ha posto in prima pagina il giorno dopo il referendum con il quale gli italiani nel 1946 tra Monarchia e Repubblica scelsero quest’ultima. Quel referendum fu anche la seconda votazione in Italia a suffragio universale, nel quale quindi anche le donne poterono esprimersi.

Erano anni complessi, la Seconda Guerra Mondiale era finita da poco e il ruolo della donna ancora estremamente marginale all’interno della società. Di orientamenti sessuali si parlava poco e delle persone non binarie per nulla.

Se, però, per l’emancipazione femminile la strada era ancora lunghissima, al punto da non essersi conclusa nemmeno oggi, e il concetto di comunità Lgbtq+ ancora lontanissimo a venire, nella Costituzione scritta nei mesi successivi dall’Assemblea Costituente, eletta lo stesso 2 giugno 1946, sono presenti alcuni principi fondamentali che già allora provarono a tracciare la linea della parità di genere.

Articolo 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Articolo 37

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce a essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Articolo 51

Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

Menzione a parte per l’articolo 29

Qui si parla di famiglia. Nonostante venga ammessa solo ed esclusivamente quella fondata sul matrimonio, escludendo tutte le altre forme di unione, e quindi il testo vada esattamente nella direzione opposta all’uguaglianza di genere, una parte fissa un punto fondamentale: l’uguaglianza giuridica dei 2 coniugi.

L’articolo infatti recita così: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

Purtroppo, leggendo gli articoli 3, 37 e 51 è evidente che a decenni di distanza, ciò che le madri e i padri costituenti avevano messo nero su bianco non si sia avverato completamente. Sappiamo bene, infatti, come sessismo e patriarcato siano permeati nella società e impediscano spesso alle donne di accedere in modo egualitario ai vari aspetti della vita.

Il lavoro in particolare, del quale si parla nell’articolo 37, vede ancora oggi un forte squilibrio, con le donne perennemente svantaggiate, per prima cosa per quanto riguarda il salario. A parità di mansioni, infatti, secondo i dati Eurostat, guadagnano il 5% in meno rispetto ai colleghi uomini. Inoltre, raramente riescono a raggiungere posizione di vertice: secondo un rapporto realizzato da Cerved, su un campione di 1,2 milioni di società italiane le donne nei Cda sono solo il 27%.

Le cose si complica ulteriormente quando diventano madri, nonostante un passaggio dell’articolo della Costituzione sottolinei proprio come il lavoro dovrebbe garantire la possibilità di occuparsi anche della famiglia. Invece dopo un figlio molte donne non rientrano o sono costrette a contratti part time contro la loro volontà.

Anche sul versante delle cariche elettive citate nell’articolo 29 la situazione è tutto meno che rosea. Forse ancor più che in altri ambienti lavorativi, nelle stanze della politica le donne faticano a mettere piede e raramente riescono a raggiungere posizioni rilevanti.

Da Nilde Iotti, madre costituente e prima presidente della Camera donna, in poi non sono certo mancate quelle che hanno impresso il loro nome nella storia della politica italiana ma si tratta ancora di un numero troppo basso. Nell’era della prima donna premier, Giorgia Meloni, con una leader al primo partito di opposizione, Elly Schlein, l’auspicio è che si faccia molto di più (e presto) per la parità di genere.

Ce lo chiedono le donne di oggi e quelle di ieri, che scrivendo questi articoli della Costituzione hanno indicato la via. Non smarriamola.

Leggi anche
Costituzione
di Andrea Giuli 4 min lettura
Costituzione italiana
di Manuela Sicuro 6 min lettura