Futuro

La Svizzera continuerà a fare test sugli animali

Domenica gli elvetici hanno bocciato un referendum per vietare gli esperimenti su topi e altri esemplari. Politica e case farmaceutiche tirano un sospiro di sollievo, ma sono 500.000 le cavie usate ogni anno per la ricerca
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14 febbraio 2022 Aggiornato alle 07:00

Domenica gli svizzeri sono stati chiamati a un voto per decidere se vietare o meno i test sugli animali: un referendum che, se avesse vinto il “sì”, avrebbe reso la Svizzera il primo Paese al mondo con una tale restrizione. In realtà l’orientamento degli elettori, secondo i media svizzeri, sembrava andare verso una bocciatura sicura di questa scelta, come è avvenuto: il 79% dei votanti ha bocciato il quesito.

La stessa proposta aveva suscitato molte proteste soprattutto a Basilea, città di grandi case farmaceutiche. L’iniziativa popolare chiedeva in sostanza di vietare ogni tipo di esperimento su “umani e animali” e anche l’importazione di nuovi prodotti sviluppati utilizzando tali metodi.

È stata lanciata da cittadini della Svizzera orientale, fra cui anche medici e agricoltori, e sostenuta da una ottantina di organizzazioni ambientaliste. In Svizzera le cifre dicono che lo scorso anno sono stati usati a fini sperimentali circa 550.000 animali (soprattutto topi), il 18% in meno rispetto ai dati del 2015.

Lo scopo dell’iniziativa era vietare pratiche che provocano sofferenza e dolore. Lo stesso Parlamento svizzero però ha definito come estrema la richiesta del referendum, per l’impatto forte sulla ricerca scientifica, oggi già regolata da una legge che permette esperimenti su animali solo se non esistono metodi alternativi.

Già in passato simili iniziative popolari sulla sperimentazione animale erano state respinte in Svizzera, l’ultima nel 1993.

Per Renato Werndli, medico fra i promotori dell’iniziativa, «è crudele e superfluo sperimentare su animali e sono certo che possiamo sviluppare medicinali facendone a meno». Al contrario Interpharma, associazione delle aziende farmaceutiche, sostiene che in caso di sì al quesito «la ricerca farmaceutica, gli studi clinici negli ospedali e la ricerca di base nelle università non sarebbero stati più possibili».

Maries van den Broek dell’Università di Zurigo, contrario all’iniziativa, ha spiegato che «dal momento che non comprendiamo nemmeno il 10% dei processi che avvengono all’interno di un tumore, è impossibile utilizzare modelli informatici o colture di cellule per capire la complessa biologia di un cancro» e dunque è necessario poter continuare a sperimentare grazie per esempio alle cavie.

Lo scontro resta quindi acceso tra chi sostiene soluzioni alternative e pratiche non impattanti sugli animali e chi, come i ricercatori, difendono invece come il progresso medico sia impossibile senza la sperimentazione. Anche il governo ribadisce che il divieto andava troppo oltre, con possibili «gravi conseguenze per la salute e l’economia».