Economia

È tutta colpa dei giovani?

Sono i “bamboccioni” d’Italia, troppo preoccupati dall’incertezza economica futura per metter su famiglia. Ma la realtà è ben diversa. Vogliamo ancora puntare il dito contro di loro?
Credit: Miles Peacock
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
30 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

Cosa vogliamo da questi giovani? Ma soprattutto, cosa vogliono loro? Non lasciano casa, non fanno figli, il 24% di loro non studia e non lavora (per questo abbiamo il primato europeo).

A comprenderli forse un po’ meglio arriva l’indagine che Noto Sondaggi ha realizzato per Il Sole 24 Ore su giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Primo dato: al Nord si lavora, nel resto del Paese si studia.

Nel Nord Est, a lavorare è il 67% del campione, mentre il 39% di coloro che risiedono al Centro studia (al Sud arriviamo al 41%). E non è vero che sono scoraggiati, soprattutto quando studiano e stanno investendo sulla loro crescita formativa: tra di loro, a dichiararsi soddisfatto dell’istruzione che sta ricevendo è il 69% e il 63% ritiene che troverà un lavoro in linea con le competenze che sta costruendo.

I figli?

Anche se a molti piace presentarli sotto una certa luce, non sono bamboccioni: sono finanziariamente cauti. E, quando si parla di futuro, hanno ben chiaro che i figli costano: il 60% del campione individua nella solidità economico-finanziaria uno dei prerequisiti fondamentali per decidere di riprodursi. Ma c’è un altro aspetto che dovremmo tenere in considerazione, da adulti che stanno ancora impattando enormemente sul mondo che i giovani (e i loro figli) vivono e vivranno: il 23% delle persone intervistate pensa che non sarà in grado di avere figli nel proprio futuro perché è preoccupato delle prospettive economiche del Paese e teme che non riuscirà ad avere un lavoro o, comunque, un reddito che permetta di dare concretezza ai propri progetti famigliari.

Quanto costa mettere su famiglia?

Del resto, secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, già solo durante il primo anno di vita di un figlio, le spese da sostenere sono comprese in un range che va dai 7.065,07 aI 17.030,33 euro. E non è tutto, perché questi costi sono anche in aumento. Qualche esempio? Per comprare un passeggino, in un anno la spesa è aumentata del 27%, per una culla circa il 14%.

Vale la pena sicuramente ricordare che l’Osservatorio Inps pubblicato a dicembre 2022 avvertiva che per i lavoratori (sia autonomi che dipendenti) tra i 20 e i 24 anni, il reddito medio annuo da lavoro è stato di 9.911 euro (ovviamente, con una pesante disparità di genere: 11.875 per i ragazzi e 7.948 per le ragazze).

Cosa si può fare?

Certo, c’è l’assegno unico per i figli a carico. Un bell’impegno, per le finanze pubbliche: secondo l’Inps, nel 2022 sono stati spesi 13 miliardi di euro, con una media di 146 euro al mese per figlio. E però, secondo Federconsumatori, questi bonus sono ancora insufficienti e comunque non rappresenterebbero un fattore determinante per decidere di mettere al mondo un figlio. Del resto, i figli restano, ma i Governi passano (e a volte, con loro, anche i bonus).

Cosa servirebbe si sa (e se ne parla da 60 anni): asili nido e tempo pieno. Almeno, abbattere le spese legate ai servizi di base per le famiglie. Ma in un Paese dove i Governi, di qualunque colore politico siano, parlano in continuazione di maternità, natalità e fertilità, pare proprio che non ce la si faccia. Ricordiamo che il Consiglio dell’Unione Europea ha recentemente elevato l’obiettivo di copertura dei servizi di educazione e cura per la prima infanzia da parte degli Stati membri, passando dal 33% a 45% del totale dei bambini sotto i 3 anni ai quali questi servizi dovrebbero essere garantiti. Ma secondo Openpolis, nel 2020 erano solo 6 le Regioni che superavano la soglia minima del 33%.

Senza soldi, senza servizi, senza poter realizzare i propri progetti. Vogliamo davvero continuare a dare la colpa ai giovani?

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