Economia

Paradisi fiscali: l’Irlanda vuole creare un Fondo Sovrano

Il Paese, la cui aliquota sulla ricchezza delle multinazionali è al 12,5%, beneficia di un surplus fiscale di circa 10 miliardi per il 2022. L’idea è investire il denaro, già dal 2024, in infrastrutture e pensioni
Credit: cottonbro CG studio
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30 maggio 2023 Aggiornato alle 18:00

Quando sentiamo parlare di “paradisi fiscali” la prima cosa che ci viene in mente sono Stati lontani da noi migliaia di chilometri, come le isole Samoa, le Bahamas e Panama. In effetti è vero: si tratta di Paesi capaci di attrarre le grandi aziende per un sistema di tassazione estremamente conveniente. Al loro fianco, però, troviamo anche alcuni Stati europei come, a esempio, l’Irlanda.

L’imposta sulla ricchezza delle multinazionali è una questione da anni dibattuta perché la presenza di regimi d’imposte differenti causano squilibri, avvantaggiando alcuni Paesi. L’Irlanda, infatti, che presenta a oggi una aliquota del 12,5%, sta beneficiando di un surplus fiscale da record pari a circa 10 miliardi nel 2022 e che, fino al 2025, potrebbe raggiungere i 65 miliardi.

Una vera fortuna che potrebbe essere utilizzata per la creazione di un Fondo Sovrano probabilmente effettivo già dal 2024, con l’obiettivo di sostenere il benessere dei cittadini investendo in infrastrutture e nelle pensioni.

Il modello di riferimento è quello norvegese. Il Paese Nordico ha, infatti, visto nel 1990 la creazione dell’Oil Fund che prevedeva il reinvestimento degli extraprofitti delle aziende petrolifere. Una mossa vincente basata sul concetto per cui “Un giorno il petrolio si esaurirà, ma i proventi messi sul Fondo continueranno a beneficiare la popolazione norvegese” e che nel 2006 si è trasformato nel Government Pension Fund Global, con la nascita di una vera e propria cassaforte statale.

Una mossa che l’Irlanda vuole seguire e che, indubbiamente, renderà felici i cittadini ma meno il resto d’Europa che, invece, si vede sottratta una fetta della propria ricchezza.

Ad ottobre 2021, durante il G20, sono stati fatti degli importanti passi avanti per introdurre un sistema di tassazione fiscale che allineasse tutti i Paesi Ocse. L’obiettivo era quello di contrastare l’evasione fiscale e limitare gli extraprofitti delle aziende di grandi dimensioni al fine di evitare situazioni come quella, a esempio, delle grandi case farmaceutiche americane. Aziende come Pfizer hanno generato all’interno del suolo statunitense un fatturato di 215 miliardi di dollari e un profitto pari a 10 miliardi; all’estero, invece, il rapporto è di 171 miliardi fatturati e un utile di 90 miliardi di dollari. Una situazione certamente conveniente per le multinazionali che sono, inevitabilmente, attratte verso Paesi che gli consentano un maggior margine di profitto.

A partire da questa volontà si è, dunque, deciso durante il G20 di fissare un aliquota fiscale minima del 15% sui ricavi finanziari complessivi superiori a 750 milioni di euro l’anno delle imprese che operano, tramite la loro casa madre o tramite una controllata, all’interno di uno dei Paesi membri dell’Ue. Una soglia che potrebbe permettere la realizzazione di entrate per circa 220 miliardi di dollari a livello globale, che per l’Italia corrisponderebbero a circa 2/3 miliardi di euro.

La proposta, tuttavia, ha subito diversi rallentamenti per il veto prima della Polonia e, poi, dell’Ungheria (le quali, a oggi, presentano rispettivamente un imposta del 19% e del 9%), ma che dovrebbe diventare effettiva a partire dal prossimo anno.

Ecco quindi che l’Irlanda inizia a muoversi per il raggiungimento del 15% mentre in Svizzera, dove in 21 Cantoni su 26 le aliquote sono ben al di sotto del 15%, è stato indetto un referendum popolare che il 18 giugno porterà la popolazione a esprimere la propria opinione alle urne. Infatti, la normativa punta a regolare anche le casistiche in cui il Paese dove viene svolta l’attività non preveda un analogo sistema di regolamentazione, permettendo allo Stato membro della società madre di applicare un’imposta complementare.

Un compromesso quello del 15% che sembra comunque molto lontano dalla soglia necessaria a garantire una maggiore equità: basti pensare che in Europa il Paese con la tassazione maggiore è il Portogallo con il 31,5%, a seguire la Germania con il 29,83% e l’Italia con il 27,81%. Ben al di sopra del valore minimo fissato durante il G20, quando il Presidente americano Biden aveva proposto il 21% e la Commissione Indipendente per la Riforma della Tassazione Internazionale delle Multinazionali (Icrict) il 25%. Se si prende in considerazione quest’ultima proposta, infatti, i profitti generati a livello globale supererebbero di gran lunga i 220 miliardi stimati, portando solo in Italia un aumento di 12 miliardi di euro.

Una questione di giustizia fiscale che, pur non avendo ancora trovato una soluzione univoca, muove i primi passi verso una maggiore coesione internazionale.

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di Fabrizio Papitto 3 min lettura