Diritti

La crisi demografica dalla Cina all’Europa

Il Paese asiatico paga a caro prezzo la politica del figlio unico introdotta nel 1979, toccando il record negativo di 1,15 nascite per donna nel 2021. In Europa però non va molto meglio
Credit: EPA/ALEX PLAVEVSKI
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27 maggio 2023 Aggiornato alle 15:00

Scuole elementari che diventano residenze per anziani, fabbriche che lottano per trovare personale e nuove abitazioni dove famiglie con 2 figli e giovani laureati hanno diritto a incentivi economici per ripopolare la città. Questa è la condizione di Rudong, ex contea più popolosa della Cina, descritta dal Financial Times come emblema dell’invecchiamento che la popolazione cinese sta attraversando insieme al crollo delle nascite.

Alla fine degli anni Sessanta, Rudong, che si trova nella provincia orientale cinese del Jiangsu, è stata scelta per sperimentare la politica del figlio unico dal governo di Pechino perché la sua popolazione era troppo numerosa. Il provvedimento, adottato a livello nazionale nel 1979, prevedeva di multare le coppie che mettevano al mondo 2 o più figli. Quasi 60 anni dopo, Rudong è la contea più vecchia del Paese: il 39% della popolazione ha più di 60 anni, più del doppio del 18,7% nazionale.

La crisi demografica della Cina ha origini lontane e oggi si traduce nella riduzione della forza lavoro, nella mancanza di giovani laureati, in forti disuguaglianze nel sistema pensionistico, con anziani impoveriti che vivono per la maggior parte con piccole pensioni, e in un grave squilibrio di genere con 1.123 nascite maschili ogni 1.000 nascite femminili nel 2020.

Dopo che negli anni Settanta il Paese ha stabilito nuovi limiti di età per ritardare il matrimonio, il tasso di fertilità è precipitato da 5,5 nascite per donna nel 1971 a 2,7 nascite nel 1979.

Ma è nei primi anni Novanta che è arrivato un punto di svolta: la fertilità è scesa al di sotto del livello di 2,1 nascite per donna ritenuto necessario per raggiungere una popolazione stabile e da allora ha continuato a diminuire, fino alle ​​1,15 nascite nel 2021.

Nel 2016 la Cina ha abbandonato la politica del figlio unico a seguito del crollo dei tassi di fertilità ma per Rudong era già troppo tardi. Nel corso del decennio conclusosi nel 2022, la popolazione della contea è diminuita di quasi il 12%, arrivando a circa 880.000 persone. Il reddito disponibile del 2022, pari a 43.645 yuan (6.315 dollari) a testa, pur essendo elevato rispetto al resto della Cina, è inferiore al resto del Jiangsu di oltre il 12%.

Nel 2020 il National Bureau of Statistics cinese ha calcolato un calo delle nascite del 18% rispetto al 2019, il quarto calo consecutivo del tasso di natalità annuale del paese.

Le 12 milioni di nascite registrate l’anno prima hanno spinto nel 2021 il presidente Xi Jinping a consentire a ogni coppia nel Paese di avere fino a 3 figli, ma nello stesso anno un sondaggio online diffuso in Cina ha rilevato che più della metà dei giovani non vuole averne neppure uno. Tra i principali motivi ci sono i costi elevati per l’acquisto di una casa e l’istruzione dei figli.

Pechino però non si arrende e ha annunciato iniziative per ridurre le doti dei matrimoni, mentre alcune città stanno distribuendo sovvenzioni per le famiglie che hanno un terzo figlio e altre stanno ampliando i congedi di maternità e paternità. Molte sovvenzionano anche programmi di assistenza alla fertilità, come la fecondazione in vitro.

Tuttavia, al ritmo attuale, «entro la fine del secolo la Cina avrà un solo lavoratore per ogni pensionato, rispetto ai 4 di oggi», ha affermato Bert Hofman, direttore dell’Istituto dell’Asia Orientale dell’Università Nazionale di Singapore.

Intanto la crisi demografica sta raggiungendo anche l’Europa, dove entro il 2100 la popolazione complessiva è destinata a diminuire e invecchiare ulteriormente.

Le proiezioni di Eurostat, basate su modelli di fertilità, mortalità e migrazione del continente, dicono che tra 77 anni le persone di età compresa tra 65 e 79 anni rappresenteranno il 17% della popolazione totale dell’Ue, rispetto al 15% all’inizio del 2022. Anche la quota di persone di età pari o superiore a 80 anni dovrebbe aumentare più del doppio, dal 6 al 15%.

D’altra parte, la percentuale di bambini e giovani (da 0 a 19 anni) dovrebbe ridursi dal 20% nel 2022 al 18% entro il 2100, così come la percentuale di persone in età lavorativa (20-64 anni), che dovrebbe passare dal 59% al 50%.

Al momento l’Unione Europea ha però un tasso di fertilità medio che supera quello della Cina, con 1,53 nati per donna nel 2021. Tra i tassi di fertilità totale più bassi dello stesso anno, insieme a Malta (1,13 nascite per donna) e Spagna (1,19), c’è anche quello dell’Italia (1,25).

L’Istat, nelle sue ultime statistiche sulla natalità, rileva inoltre che la popolazione italiana è in decrescita. Se il saldo naturale tra nascite (392.598) e morti (713 mila) nel 2022 è stato definito fortemente negativo, con la natalità al minimo storico, il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e over 65 anni) passerà da circa 3 a 2 nel 2021 a circa 1 a 1 nel 2050.

Il cambiamento demografico nel nostro Paese è in corso da 15 anni, ma nel prossimo decennio l’Istat prospetta un calo progressivo della popolazione che porterà 4 Comuni su 5 a perdere fino al 5,5% dei propri residenti, un invecchiamento marcato delle persone soprattutto al Sud e un aumento delle coppie con un numero di figli minore rispetto a oggi.

Secondo queste ipotesi, neanche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero proiettato di nascite arriverebbe a compensare quello delle morti e i flussi migratori non potranno controbilanciare il segno negativo della dinamica naturale.

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