Futuro

Il labirinto dei chip

La pericolosità del confronto tra Cina e Usa, per il controllo dell’industria dei semiconduttori, appare crescente. La tecnologia deve evolvere anche per motivi ecologici. E l’incertezza pesa sull’economia di mezzo mondo
Credit: Tima Miroshnichenko
Tempo di lettura 6 min lettura
25 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

In un contesto che giustamente è molto interessato al crescente e già immenso potere delle mega piattaforme di servizio online, come Google, Facebook, Amazon, TikTok e Twitter, l’influenza della produzione di hardware tende a essere troppo sottovalutata.

È vero che una parte importante dell’economia dipende dal funzionamento dei mercati digitali, sui quali si scambiano informazioni, pubblicità e merci di ogni genere, ma le filiere produttive che hanno bisogno di elettronica per la loro sopravvivenza sono se è possibile ancora più gigantesche.

Come ha dimostrato la grande - ma limitata nel tempo - perturbazione del mercato dei microprocessori causata dai primi mesi della pandemia da Covid-19, i settori che hanno perso efficienza e mercato per gli anni successivi non sono soltanto nella produzione di elettronica di consumo, computer e telefoni, ma anche nella produzione di automobili, aerei, elettrodomestici, robot industriali, sistemi per la produzione di energia, batterie, e molto altro ancora. E il punto è che la complessità della produzione dei chip - che coinvolge un sistema di collaborazioni tra imprese profondamente globalizzato - si trova di fronte a un aggiustamento strutturale di importanza essenziale: gli Stati Uniti hanno deciso di difendere la loro leadership tentando di rallentare la crescita impetuosa della Cina anche impedendo al Paese asiatico di accedere ai migliori semiconduttori prodotti dall’elettronica americana.

La geopolitica tecnologica, descritta da Chris Miller nel suo fondamentale libro Chip War (Scribner 2022), è intricata come quella del petrolio, per adesso meno sanguinosa, ma in procinto di diventare preda di una nuova forma di scontro di civiltà. Ma questa volta molto più complicato. E le conseguenze sono tutt’altro che evidenti.

Gli Stati Uniti sanno che cosa vogliono per quanto riguarda il potere militare sul mondo. Ma nessuno può sapere quale sarà il prezzo da pagare per mantenerlo, dal punto di vista industriale e più in generale economico.

La Cina non è soltanto il luogo nel quale molti prodotti americani ed europei sono assemblati. È sempre più un grande mercato per i prodotti più sofisticati degli americani e degli europei. Nell’immediato, la guerra dei chip rallenta la crescita cinese ma si traduce subito anche in perdita di fatturato americano.

Il divieto di esportare prodotti sofisticati in Cina mette in difficoltà i conti del più grande produttore di chip americano, Nvidia, che nel Paese asiatico aveva il suo primo mercato. Intanto, la ritorsione cinese è cominciata con il divieto di importare memorie dall’americana Micron.

Nel medio termine, inoltre, come dice Jensen Huang, Ceo di Nvidia, i cinesi si costruiranno i loro chip avanzati, mentre gli americani - e si potrebbe aggiungere gli europei - che nel frattempo avranno investito decine di miliardi per ricostruire una produzione di chip nel loro territorio avranno un eccesso di capacità produttiva perché non potranno vendere in Cina.

Ma la geopolitica è al centro delle preoccupazioni di tutti, viste le crescenti tensioni su Taiwan: l’isola che la Cina considera parte integrante del suo territorio e che secondo gli americani deve conservare uno statuto indipendente produce con una quota attorno al 65% dei semiconduttori mondiali e soltanto la Tsmc ne produce oltre il 53%, secondo TrendForce.

Le conseguenze politiche di questo primato possono essere in parte considerate favorevoli all’indipendenza dalla Cina, che non avrebbe interesse a mettere a repentaglio la produzione taiwanese tanto necessaria alla sua stessa industria; ma nel tempo potrebbero invece alimentare gli appetiti cinesi. Il che non contribuisce a ridurre l’incertezza.

Intanto, ad aumentare la difficile prevedibilità del mercato, la strategia di rilancio della produzione di semiconduttori in Europa che la Commissione ha tentato di avviare con il Chip Act, potrebbe incontrare difficoltà a causa del bando annunciato sulle sostanze polifluoroalchiliche (prodotti chimici della classe Pfas) che sempre più si stanno dimostrando tossiche per gli umani e che sono essenziali nella produzione di microprocessori.

La visione di lungo termine che caratterizza questo mercato viene dunque ulteriormente complicata, considerando che i produttori affermano di non avere alternative per ora all’uso di questi prodotti chimici. L’ecologia del resto imporrà cambiamenti del sistema produttivo importanti, anche per la necessità di riconfigurare il digitale in modo che consumi molto meno l’energia elettrica.

La stessa finanza potrebbe essere coinvolta, per motivi strategici. I chip stanno cambiando pelle: le difficoltà fisiche per la prosecuzione della traiettoria di miglioramento definita dalla “Legge di Moore” si sono tradotte in una biforcazione della produzione: da una parte continuano le aziende che producono chip generalisti, dall’altra parte crescono le aziende che fanno chip specializzati.

Nvidia è tra queste e i suoi chip sono considerati essenziali per l’intelligenza artificiale oltre che per i videogiochi. Questa strategia ha pagato: la capitalizzazione di Nvidia si è ripresa dalle difficoltà post-Covid e viaggia intorno ai 960 miliardi di dollari. Molto più dei 123 miliardi dell’antica leader Intel. Anche perché molte case, come ha fatto Apple da tempo, stanno cominciando a disegnare i propri chip in casa.

Questo aumenta il valore dei produttori di chip di Taiwan ma anche dei produttori di macchine per la produzione di chip, tra le quali c’è il campione europeo Asml, leader nella litografia con gli ultravioletti estremi che serve a incidere con incredibile precisione i wafer di silicio. La capitalizzazione della Asml è sui 269 miliardi (la sua vecchia casamadre dalla quale si è separata anni fa, la Philips, oggi vale 17 miliardi). A sua volta l’Asml, che produce macchine da 100 milioni, l’una detiene una fetta di potere nel sistema dei chip.

In un settore complesso come questo, con sfaccettature sempre più intricate, con tensioni politiche sempre più importanti, con rischi e opportunità gigantesche, si deve tener conto che nessuna alleanza è semplice: in Occidente, gli americani guidano di sicuro, ma gli interessi europei, giapponesi, coreani, non sono sempre perfettamente allineati. E intanto cresce l’India.

Ogni piccola perturbazione nel mercato dei chip ha conseguenze pesanti per mezza economia mondiale.

L’epoca della collaborazione globale che ha migliorato le condizioni di popoli che erano esclusi dallo sviluppo e ha ulteriormente arricchito le economie già avanzate, non finisce in due anni. Ma è certamente meno facile scommettere sui suoi sviluppi nei prossimi dieci.

La geopolitica del petrolio era sanguinosa, corrotta e terribile. La geopolitica dei chip è ancora più complicata.

Leggi anche
tecnologia
di Valeria Pantani 2 min lettura
Tecnologia
di Luca De Biase 3 min lettura