Culture

Contro la fine del lavoro

Nel suo saggio Manifesto della classe dei servi, Simone Cerlini spiega come è cambiato il modo di vivere il lavoro. Concepito in prima istanza come relazione che crea valore e risponde a bisogni altrui
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23 maggio 2023 Aggiornato alle 16:00

Il mondo del lavoro, inutile negarlo, è molto complesso. La situazione, in Italia, non è certamente florida, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Ci sono anche diverse opinioni riguardo al lavoro: se, da una parte, c’è chi sostiene la necessità del tempo libero e quindi di conseguenza si allontana dal mondo lavorativo, dall’altra vi è chi, invece, lo ritiene una condizione essenziale.

Ovviamente, negli ultimi anni il lavoro è cambiato radicalmente: basti pensare allo smart working, a causa del quale la distinzione tra vita privata e vita lavorativa si fa sempre più sensibile. Cambia anche la priorità, che tra i giovani sembra non essere più l’aspetto puramente economico, ma vi sono altri fattori in ballo come per esempio i valori aziendali, l’impatto ambientale o il benessere del personale.

Un libro che descrive al meglio la complessità del mondo lavorativo è il saggio Manifesto della classe dei servi. Contro la fine del lavoro, di Simone Cerlini edito da Il Margine (Trento, 2023, 200 pagine).

La «classe dei servi», come la definisce l’autore, non è altro che l’insieme di coloro che necessitano del lavoro, coloro che vivono del proprio stipendio e, in quanto tali, sono “servi”. Essi, a differenza della «classe dei signori», non si schierano contro la fine del lavoro, anzi, lo ritengono essenziale.

È il caso di Jessica e Rossella, entrambe madri, senza l’appoggio di un compagno: sono alla ricerca di un lavoro, ma inteso come «tempo da scambiare con denaro». Un pregiudizio che va scardinato e superato.

Ma cos’è realmente il lavoro? Non è un concetto semplice da spiegare e da definire. L’autore risponde a questa domanda definendo il lavoro come «ogni attività che crea valore», ma anche come «rispondere ai bisogni degli altri», un continuo incontro, quindi, non un qualcosa di negativo da cui è necessario liberarsi. L’elemento centrale, infatti, non è altro che la relazione.

Ci si addentra, poi, nella dialettica servo/padrone dove l’autore dice di schierarsi «decisamente dalla parte dei servi». Da qui, parte una riflessione sulla polarizzazione della ricchezza nel nostro Paese, dove i ricchi diventano sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri.

Dopo la pandemia, la situazione si è accentuata ancor di più, tanto che si riescono a distinguere due gruppi: da un lato, i salariati che vivono del loro lavoro (la maggioranza) e dall’altro, famiglie con proprietà immobiliari o azionarie che hanno il lusso e il privilegio di vivere il lavoro come un semplice e puro gioco.

Non manca una grande riflessione sul cambiamento del concetto di lavoro, a partire dal XIX secolo fino ad arrivare ai giorni nostri, nei quali la partecipazione al lavoro è ancora molto bassa. Ma come mai? Secondo i dati Istat, coloro che potrebbero lavorare ma non lo fanno sono soprattutto le donne.

Ma è vero che non lavorano? In realtà, esse lavorano eccome, si prendono cura dei figli, della casa o delle persone autosufficienti. Da qui, un altro discorso: nei Paesi dove il tasso di attività e di partecipazione al lavoro è più alto emerge una chiara condivisione del lavoro di cura, cosa che invece non avviene in Italia, dove c’è ancora una concezione legata profondamente alla tradizione. Su questo, siamo ancora molto indietro.

Ma il lavoro di cura deve essere retribuito? Sebbene rappresenti a tutti gli effetti un lavoro, in quanto risponde ai bisogni degli altri, in realtà, l’autore ci spiega che, permettendo una retribuzione, si potrebbe entrare in un circolo vizioso che legherebbe ancor di più le donne ai lavori di casa. Da qui, la provocazione dell’autore: e se, un giorno, fossero gli uomini a occuparsi maggiormente della cura della casa e dei figli? Si penserebbe a una retribuzione o no?

In Italia, anche il tasso dei Neet (giovani che non studiano e non lavorano) è uno tra i più alti d’Europa, con una chiara differenza di genere e di territorio: la maggior parte si concentra al Sud e sono ragazze. Bisogna, comunque, sradicare il pregiudizio dei “giovani fannulloni”.

Si riportano esempi concreti, non mancano excursus sulla concezione del lavoro e su come essa sia radicalmente cambiata dai tempi dei filosofi ottocenteschi. Propone, quindi, spunti che spingono a fare una riflessione approfondita.

Un bellissimo libro che analizza ogni singolo aspetto del mondo lavorativo, e lo fa in maniera estremamente semplice e lineare, pur trattando un tema complesso e corposo, utilizzando un linguaggio diretto, a tratti provocatorio. Si promette di analizzare con estrema attenzione e precisione l’evoluzione del mondo del lavoro, in continuo cambiamento.

Si condanna fortemente la concezione della classe dei padroni, mentre si sostiene la classe dei servi: soltanto attraverso il mercato del lavoro, infatti, si può riconoscere il valore delle persone o delle imprese, le quali rispondono ai desideri e ai bisogni degli altri.

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