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Usa: le Big Tech non hanno incoraggiato il terrorismo

Per la Corte Suprema, le piattaforme YouTube (Google), Twitter e Facebook non sono responsabili dei contenuti che, secondo l’accusa, avrebbero favorito gli attentati Isis a Istanbul (2017) e Parigi (2015)
Credit: Kieron Mannix
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
22 maggio 2023 Aggiornato alle 09:00

YouTube (Google), Twitter e Facebook non hanno contribuito a favorire gli attacchi terroristici. Lo ha stabilito la Corte Suprema degli Stati Uniti, che il 18 maggio si è pronunciata per la prima volta riguardo la Sezione 230 del Communications Decency Act, una legge del 1996 che protegge le piattaforme online dalla responsabilità legale nei confronti dei contenuti pubblicati dai rispettivi utenti.

“I querelanti affermano che gli algoritmi di ‘raccomandazione’ degli imputati vanno oltre l’aiuto passivo e costituiscono un’assistenza attiva e sostanziale. Non siamo d’accordo”, si legge nel testo della sentenza scritta dal giudice Clarence Thomas.

I casi riguardavano, nello specifico, la presunta responsabilità della morte del cittadino giordano Nawras Alassaf, una delle 39 vittime dell’attentato alla discoteca Reina di Istanbul del 1° gennaio 2017, e quella della studentessa statunitense Nohemi Gonzalez, uccisa durante gli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015. Entrambi gli attentati sono stati rivendicati dall’Isis.

“La semplice creazione da parte degli imputati delle loro piattaforme multimediali non è più colpevole della creazione di email, telefoni cellulari o Internet in generale”, si legge nel documento che raccoglie il parere unanime della Corte. “Gli algoritmi di raccomandazione degli imputati sono semplicemente parte dell’infrastruttura attraverso la quale viene filtrato tutto il contenuto sulle loro piattaforme. Inoltre – sostengono i giudici – gli algoritmi sono stati presentati come agnostici rispetto alla natura del contenuto”.

«Innumerevoli aziende, studiosi, creatori di contenuti e organizzazioni della società civile che si sono uniti a noi in questo caso saranno rassicurati da questo risultato», ha dichiarato in una nota Halimah DeLaine Prado, nominata General Counsel di Google dall’agosto 2020.

Una vittoria per le Big Tech che solleva diverse questioni riguardo il ruolo dei social network e che fa già discutere. «La Corte alla fine dovrà rispondere ad alcune domande importanti che ha evitato nei pareri odierni - ha commentato all’Associated Press Anna Diakun, avvocata presso il Knight First Amendment Institute della Columbia University - Le domande sulla portata dell’immunità delle piattaforme ai sensi della Sezione 230 sono consequenziali e sorgeranno sicuramente presto in altri casi».

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