Ambiente

Giacomo Zattini (Fridays) su Emilia-Romagna: «Non riesco a dire quanta rabbia provo»

Il portavoce nazionale del Fridays For Future ha spiegato a La Svolta: «parliamo di quello che porta la crisi, rilanciamo le parole di scienziati ed esperti spesso senza essere ascoltati. E poi accade questo»
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18 maggio 2023 Aggiornato alle 18:00

Il telefono è staccato. Riproviamo: nulla. Passano le ore, poi finalmente Giacomo Zattini, giovane portavoce di Fridays For Future, di Forlì, risponde: «Il mio cellulare si è bagnato. Qui non ho niente: né luce né corrente, né acqua, né connessione. Mi sono spostato per chiamare e poi mi farò qualche chilometro a piedi per tornare perché la strada è bloccata. Non riesco a descrivere quel che vedo: il rigagnolo di fianco a casa mia, che per me è sempre stato un torrentello, ora è una bestia, un fiume in piena di fango e detriti che sta trascinando via tutto. Sono anni che parlo di crisi climatica con i Fridays, che mi batto affinché venga affrontata ma ora che lo sto vivendo sulla mia pelle beh…non riesco a dire quanta rabbia provo».

Zattini è uno dei giovani più impegnati nell’attivismo di Fridays, di cui ora è portavoce nazionale.

Lo scorso novembre era fra i pochi attivisti italiani presenti alla Cop27 in Egitto per far sentire il suo grido d’allarme per la salute del Pianeta. Ora purtroppo, la sua casa nelle campagne del forlivese, così come quelle dei suoi parenti e amici, è stata duramente colpita dall’alluvione. Abbiamo raccolto la sua testimonianza. E soprattutto la sua rabbia.

Come stai?

Sono senza luce e corrente. Io abito a Meldola, nelle campagne di Forlì. Qui è venuta giù ovunque una quantità d’acqua impressionante. Da me è franata qualunque cosa, non ci sono più i pali della luce, addio anche a parte dell’acquedotto, così per paradosso non ho nemmeno l’acqua corrente: da ieri sera raccolgo l’acqua piovana in una bacinella per potermi lavare. Di fianco a casa c’era un rivolo, un piccolo corso di campagna: è diventato un fiume amazzonico. Non ho mai visto una cosa del genere: l’acqua ha scavato, ha allargato il letto del fiume e passando ha sradicato tutti gli alberi che c’erano. Ora non c’è più nulla.

Cosa provi ora?

Molta rabbia. In mezza giornata è piovuto tutto: quando ho visto l’acqua crescere - quella di un torrentello che ora è sei volte tanto e poi confluirà nel Montone - non nego di aver avuto anche tanta paura. A sinistra e a destra della mia casa due colline sono franate. Oltre trecento metri di frana che è arrivata fino alla strada: ha sfiorato la casa del vicino ma ha travolto l’auto. Il tutto a pochi metri da dove vivo: nel frattempo tutto intorno è bloccato e isolato. Tutto questo mi fa rabbia: noi, come attivisti di Fridays, parliamo di quello che porta la crisi del clima, di questi effetti qui che stiamo vivendo. Rilanciamo le parole degli scienziati, gli esperti, spesso senza essere ascoltati. E poi accade questo.

Di chi è la responsabilità?

Solo poco prima dell’alluvione ero a cena in un evento insieme a un geologo dell’Emilia Romagna che mi diceva che, per sistemare le cose e prevenire, servirebbe una mezza rivoluzione dal punto di vista idrogeologico, ma nessuno la vuole fare. Così si fa tutto in emergenza, perché nessuno si prende la responsabilità di agire prima. Dunque si parla di responsabilità politiche ma anche noi cittadini abbiamo un ruolo: perché molti di noi non vogliono accettare scelte forti e impopolari. Quando si fanno i lavori di prevenzione, come quelli per gestire i territori, spesso si possono creare disagi alla popolazione, che oltretutto si chiede perché vengono fatti con i soldi pubblici e si lamentano. Se poi quella cosa che volevi evitare, riesci a non farla succedere perché hai lavorato preventivamente, a cittadini spesso non risulta e non se ne accorgono. Questo vale per tutte le volte che si tratta di prevenzione. Per cui i politici dovrebbero imparare a prendere per mano, a spiegare, a proporre, anche con scelte difficili da accettare. Invece si preferisce sempre accontentare o non fare scelte impopolari. Non c’è la voglia di guardare più in là di due o tre anni oppure di un tornaconto rapido, magari in termini di voti.

Quanto accaduto servirà a impegnarci per cambiare le cose oppure, passata l’alluvione, come spesso accade dimenticheremo?

Io spero che questo ci aiuti a fare il passo in più che serve. Non solo a comprendere l’importanza della lotta al surriscaldamento, ma a rivedere tutto un sistema che non funziona. Il nostro sistema di sviluppo economico ci porta a dare valore a cose che di valore non ne hanno. Oppure a non dare valore alla vita, la sicurezza, le relazioni, il cibo, le cose base. Per tutte le cavolate che ci vengono proposte come bisogni, che non sono necessità, ci dimentichiamo del resto. Io stesso ora, che mi sto lavando con l’acqua piovana, mi rendo conto - anche se sono un attivista e da sempre sensibile a questi argomenti - quanto è prezioso avere un rubinetto che apri e ti fornisce acqua corrente. Così come per l’energia o altri beni. Diamo per scontate troppe cose.

Che cosa serve per ripartire e per contrastare la crisi del clima?

Intervenire immediatamente. Se le inondazioni hanno colpito così duro è anche per il periodo di prima, per la siccità: i terreni non hanno retto. Serve adattamento per i tanti problemi: con la crisi del clima molti cambiamenti in atto continueranno, non si torna indietro. Gli esperti ce lo dicono da anni: sappiamo benissimo che dobbiamo puntare su adattamento e mitigazione. Come dice qualcuno bisogna “gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile”. È tutto qui. Dobbiamo prevenire quel che sta arrivando e ridurre gli impatti. Come? Gestendo il territorio, dai fiumi fino al modello di sviluppo troppo basato sui consumi. Pensiamo all’acqua: quanta ne consumiamo inutilmente? E poi logicamente lavorare per abbassare le emissioni, a partire dall’addio ai combustibili fossili. Dobbiamo cambiare tutto il modello e per questo ci vuole coraggio.

Coraggio nel condividere scelte impopolari per aiutare noi e il Pianeta?

Il modello a cui penso non è solo economico. Ma anche politico, sociale, relazionale. Per riuscire in tutto questo, per cambiarlo, serve un nuovo modo di condividere i problemi. Magari anche tramite assemblee cittadine, per coinvolgere di più le popolazioni, per far capire cosa serve davvero e condividere il senso di scelte impopolari e difficili, urgenti e con lungimiranza, ma necessarie. E le persone devono condividere con la politica la pesantezza e la responsabilità di queste scelte, o altrimenti non si arriverà mai a un vero cambio.

A cosa pensi adesso?

Agli altri. Mia zia e mia nonna sono a Castrocaro e la strada d’ingresso della casa costeggia un torrente che è diventato una bestia feroce che ha divorato tutto. Loro hanno un vivaio di cui buona parte è stato spazzato via. E poi ai tanti amici che stanno soffrendo, che sono sfollati. E poi penso al fango…

Al fango?

Sì. Ora è tempo della conta dei danni, delle azioni per salvare vite e territori ma, come in tutto con la crisi del clima innescata dall’uomo, dobbiamo sempre guardare avanti: bisogna fare presto a spazzare via il fango prima che si secchi. È argilloso: quando l’acqua se ne va diventa quasi cemento. Non possiamo permetterci di soffrire ancora.

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