Bambini

Kidfluencer: quali sono i rischi?

Non hanno l’età per stare sui social network ma ne sono le star, guadagnando milioni di dollari ogni anno. Esistono, però, seri pericoli di sfruttamento e mancanza di privacy
Credit: Anna Shvets
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
16 maggio 2023 Aggiornato alle 13:00

Minori e social network è un binomio complicato, da tutti i punti di vista. Non solo quando i piccoli ne sono gli utenti ma anche, e soprattutto, quando diventano contenuti.

Il web è pieno di bambini (nel mondo virtuale, evidentemente, li sopportiamo meglio che al ristorante): foto e video documentano insistentemente traguardi, momenti banali e attimi d’intimità, consegnandoli per sempre all’algoritmo. Spesso, si tratta di quello che viene chiamato “sharenting”, genitori in buona fede che vogliono condividere la gioia di veder crescere questi piccoli umani, ma in alcuni casi i piccoli visetti sorridenti, piangenti e a volte persino sofferenti diventano parte di una vera e propria strategia di marketing. I bambini, infatti, possono diventare veri e propri asset nei business digitali delle loro famiglie, ma in alcuni casi sono proprio loro i protagonisti sotto i riflettori.

Sono i kidfluencer, piccoli e piccolissimi con enormi fanbase, che ricevono un compenso per i contenuti sponsorizzati promossi su piattaforme di social media, pubblicità digitale e merchandising. Come Ryan’s World su YouTube (account che ha quasi 35 milioni di iscritti), il cui giovanissimo protagonista guadagna 25 milioni di dollari all’anno.

I kidfluencer con almeno 1 milione di follower, infatti, possono guadagnare oltre 10.000 dollari per ciascun post sponsorizzato. Cifre enormi, che spingono le loro famiglie (che gestiscono gli account per superare le limitazioni d’età imposte dalla piattaforme) a mantenere ritmi di pubblicazione sempre più serrati, senza alcuna regola.

Ad eccezione della Francia, che nel 2020 ha varato la prima legge relativa ai baby influencer, infatti, non esiste alcuna legislazione o protezione dei bambini coinvolti in questa pratica, proprio per la natura particolare di questa tipologia di lavoro/non lavoro. L’attività dei kidfluencer, infatti, si svolge in un ambiente domestico privato su una piattaforma a cui i genitori partecipano consensualmente e non viene considerata come “lavoro”, da una parte per la mancanza di una relazione datore-dipendente, dall’altra perché si ritiene che i bambini svolgano normali attività davanti alla telecamera piuttosto che mettere in scena una “spettacolo”.

A vedere i video, in effetti, tutto sembra innocuo, giocoso. Non lo è. “La cultura ‘Kidfluencer’ sta danneggiando i bambini in diversi modi. Allora perché non esiste una regolamentazione significativa?” chiedevano provocatoriamente Catherine Jane Archer e Kate Delmo della Edith Cowan University e della University of Technology di Sydney.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Australian Competition and Consumer Commission per la Digital Platforms Services Inquiry “I child influencer o “kidfluencer” possono essere soggetti a maggiori danni online, anche tramite molestie online, violazioni della privacy e mancanza di tutele sul lavoro”. “La nostra ricerca, pubblicata di recente su M/C Journal - aggiungevano le autrici - evidenzia ulteriormente come la cultura dei kidfluencer apra le porte a un possibile sfruttamento minorile e a una miriade di altri problemi”.

Problemi che non coinvolgono solo i piccoli davanti alla telecamera, ma anche tutti i bambini che guardano i loro video. Secondo le 2 ricercatrici, infatti, i rischi principali sono:

- mancanza di privacy online per i kidfluencer, che hanno pubblicizzato online molti aspetti della loro vita;

- mercificazione dei bambini e abilitazione di una cultura orientata a vendere loro prodotti e servizi;

- commercializzazione “furtiva” di giocattoli e altri prodotti attraverso annunci pubblicitari.

La mancanza di privacy non è solo la negazione di un diritto che tutti, anche i bambini, hanno, ma un rischio per la loro sicurezza: come spiega il documento dell’Australian Competition and Consumer Commission, infatti, questo tipo di contenuti può portare alla “condivisione involontaria della posizione e delle informazioni personali online, come i dettagli della scuola del bambino”. Il rapimento della baby influencer star del canale YouTube familiare raccontato da Delphine de Vigan in Tutto per i bambini è solo un romanzo, ma i rischi per chi ha ogni dettaglio della propria vita immortalato e riprodotto milioni di volte al giorno è reale.

Ci sono altri 2 aspetti, su cui si tende a riflettere meno, che emergono dalla ricerca di Archer e Delmo: il marketing di genere dei giocattoli e la maggiore attenzione all’aspetto per le ragazze, che può essere dannoso per la loro autostima.

Attraverso questi video, infatti, vengono rafforzati gli stereotipi di genere legati ai giocattoli: quelli dedicati alle bambine ruotano attorno ai ruoli di cura, shopping e interesse per la bellezza, mentre quelli dedicati ai maschi promuovono la fisicità, l’aggressività, la costruzione e l’azione. “Giocando con giocattoli fortemente stereotipati, ci si può aspettare che le ragazze imparino che l’aspetto e l’attrattiva sono fondamentali per il loro valore e che è importante sviluppare l’educazione e le abilità domestiche. Ci si può aspettare che i ragazzi imparino che l’aggressività, la violenza e la competizione sono divertenti e che i loro giocattoli sono eccitanti e rischiosi”.

Serve una regolamentazione, ora”, concludono le ricercatrici. Un allarme condiviso anche dalla Camera dei Comuni del Regno Unito, che lo scorso anno ha effettuato un’indagine sul fenomeno degli influencer bambini, in cui si legge: “siamo profondamente preoccupati che la mancanza di azione nel fiorente mercato degli influencer porterà allo sfruttamento di un numero ancora maggiore di bambini nell’industria, con potenziali conseguenze per tutta la vita. Raccomandiamo che il Governo risolva urgentemente il divario nella regolamentazione del lavoro minorile e delle prestazioni nel Regno Unito che sta lasciando i bambini influencer senza protezione. Raccomandiamo che ciò avvenga attraverso una nuova legislazione completa per affrontare adeguatamente le complessità del settore degli influencer. Ciò dovrebbe includere disposizioni sull’orario di lavoro e condizioni, imporre la protezione dei guadagni del minore, garantire il diritto del minore alla cancellazione e sottoporre a controllo le modalità di lavoro del minore degli enti locali”.

Una regolamentazione per il lavoro dei kidfluencer, sulla scia dell’esempio francese che ha legiferato proprio riguardo questi punti, è quindi necessaria, ma non basta. Serve anche una regolamentazione per tutelare chi guarda: secondo la Camera dei Comuni, infatti, c’è “il rischio che i bambini vengano sfruttati sia come consumatori dei contenuti degli influencer che come influencer stessi”. I minori, infatti, “spesso non sono in grado di identificare pubblicità non divulgata e trovano difficile separarla da altri tipi di contenuto che visualizzano sui social media”.

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