Diritti

Il football americano ha un problema di inclusività

Alla vigilia della 56ª finale del Super Bowl, la National Football League deve fare i conti con una partita difficile da giocare: quella contro la discriminazione razziale
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13 febbraio 2022 Aggiornato alle 20:00

Saranno i Los Angeles Rams contro i Cincinnati Bengals a contendersi il Super Bowl 2022, la finale del football americano, uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo. L’appuntamento per la 56ª edizione del match targato National Football League (NFL) è al SoFi Stadium di Inglewood, domenica 13 febbraio (nella notte italiana tra domenica e lunedì).

Ma prima ancora di scendere in campo e godersi lo spettacolo, c’è un’altra partita da giocare e ben più difficile da vincere, quella delle accuse di razzismo nei confronti della Federazione nazionale di football americano.

L’ultimo polverone lo ha alzato Brian Flores, ex allenatore dei Miami Dolphins che ha intentato una causa contro la NFL e tre squadre in cui ha allenato, accusandoli di discriminazione razziale nei processi di assunzione.

Flores, afroamericano, nella sua denuncia descrive la NFL come una “piantagione [di schiavi]” in cui i 32 proprietari della lega, nessuno dei quali nero, traggono profitto da una forza lavoro che è per circa il 70% nera.

«I proprietari guardano le partite dagli stadi della NFL da palchi di lusso, mentre la loro forza lavoro a maggioranza nera mette in gioco i propri corpi ogni domenica, subendo colpi e lesioni debilitanti» si legge nella class action.

Tra i motivi del licenziamento di Flores da parte dei Dolphins, “scarse capacità comunicative”. Nonostante ciò, Flores è stato subito considerato un possibile candidato per sedersi sulla panchina di una delle 8 squadre alla ricerca di un coach. In fase di selezione, le squadre sono tenute per regolamento a fare un colloquio ad almeno due candidati che appartengono a una minoranza sociale: attualmente però, Mike Tomlin dei Pittsburgh Steelers è l’unico allenatore afroamericano della NFL.

Durante i colloqui per contendersi la panchina dei New York Giants, come viene descritto nelle 58 pagine di denuncia, Bill Belichick, allenatore di lunga data dei New England Patriots, avrebbe preferito Brian Daboll a Brian Flores perché bianco.

«Probabilmente mi costerà la possibilità di tornare ad allenare», aveva dichiarato Flores contro la discriminazione subita, «La mia sincera speranza è che opponendomi al razzismo sistemico nella NFL, altri si uniranno a me per cambiare le cose in positivo e per le generazioni future».

Secondo i dati della NFL, NBC News e tidesport.org, tra il 2012 e il 2021, l’82% degli allenatori della NFL erano uomini bianchi - l’84% dei direttori generali incaricati a scegliere i coach erano bianchi.

Nello stesso periodo, 12 è il numero di afroamericani assunti per preparare e dirigere gli attaccanti di una squadra della NFL, contro i 107 bianchi chiamati a ricoprire lo stesso ruolo; 13,2 è invece la percentuale di personale professionale di squadra, o ruoli dirigenziali di livello base e intermedio, ricoperti da neri, la più alta nella storia della NFL. Tra i giocatori, circa il 71% è nero.

Alla vigilia di uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo, non è chiaro se Flores possa davvero essere parte di un cambiamento grazie anche alla risonanza che ci sarà nelle aule di tribunale. Casi di discriminazione del genere possono essere difficili da provare, come racconta al Financial Times Beth Bloom, avvocato del lavoro di Seattle.

Ma la denuncia è già riuscita a riaccendere i riflettori su un tema sensibile tra colore della pelle e leadership nello sport più popolare d’America, portando in primo piano la situazione degli allenatori neri. «Vinci, perdi o pareggi», ha detto Bloom, «il caso di Brian Flores rimane un caso importante».

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