Ambiente

La prima causa civile contro Eni

I ricorrenti sono Greenpeace, ReCommon e dodici cittadini. Che dicono basta alla violazione dell’Accordo di Parigi e alle più impattanti emissioni d’Italia che arrivano dalla multinazionale dell’Oil & Gas
Credit: Eni
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10 maggio 2023 Aggiornato alle 07:00

Un gruppo di cittadini e le associazioni Greenpeace e ReCommon hanno intentato la prima causa civile italiana, una climate litigation, nei confronti di Eni, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti.

Si tratta di un atto definito “urgente” e non più rimandabile da parte dei ricorrenti per denunciare come la multinazionale dell’Oil & Gas sia oggi il primo emettitore d’Italia, il “campione del fossile” e stia contribuendo in maniera impattante con le sue emissioni alla crisi climatica, violando l’Accordo di Parigi.

La causa ha lo scopo dichiarato di mettere Eni davanti alle proprie responsabilità, “vogliamo che un giudice riconosca quando stia avvenendo” per “i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole”, fanno sapere dalle associazioni che in una conferenza stampa hanno presentato a Roma i dettagli dell’azione legale.

La prima udienza potrebbe essere fissata, come da richiesta, per il 30 novembre e già a settembre dovrebbe conoscersi la posizione di Eni. Nella causa, che coinvolge anche Mef e Cdp in quanto “due realtà che in qualità di azionisti esercitano un’influenza dominante sulla società”, vede tra i ricorrenti anche dodici cittadini che rappresentano aree delle Dolomiti, la Pianura Padana, il Delta del Po oppure le zone costiere, tutte aree che oggi già subiscono gli impatti della crisi climatica tra innalzamento dei livelli del mare e ondate di calore.

Secondo coloro che hanno voluto la notifica dell’atto di citazione per l’apertura della causa, punto cruciale della questione che dovrà sciogliere il Tribunale di Roma è “l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata”. Proprio il tema dei “diritti umani” è quello su cui si gioca una partita molto simile, come climate litigation, che si è tenuta in Olanda.

Nei Paesi Bassi c’è infatti un precedente: l’azione legale promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), insieme a Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e 17.379 singoli co-ricorrenti, che nel maggio 2021 “ha indotto un tribunale a stabilire che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di carbonio”. Si tratta di una delle ormai oltre 2.600 cause o ricorsi del genere a livello mondiale, un “precedente” che fornisce speranza anche al primo tentativo italiano di far riconoscere l’impatto di Eni e - ricordano dalle associazioni - che mette a nudo anche le scelte di un Governo che continua a puntare sui combustibili fossili come il gas.

Tra le richieste dei ricorrenti quelle “che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5° C secondo il dettato dell’Accordo di Parigi sul clima”, ricordano da Greenpeace e ReCommon sottolineando come a fronte di giganteschi extra profitti la multinazionale dell’Oil & Gas insista sul fossile anziché virare realmente sulle rinnovabili.

“La conferma di Claudio Descalzi al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, rende inoltre quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica”. sostengono inoltre i due gruppi.

Per promuovere l’azione, è stato anche lanciato un hashtag: #LaGiustaCausa, nome derivato dal fatto, come ha spiegato Antonio Tricarico di ReCommon, che il «nostro Paese è già oggi tra le zone più esposte di tutto il Mediterraneo ai cambiamenti climatici. Sarebbe criminale mettere la testa sotto il tappeto e non agire, non guardare a chi ci ha portato a questa situazione. Per cui ReCommon e Greenpeace hanno deciso di metterci la faccia, nelle aule di tribunale, per una giusta causa, urgente, che chiede giustizia e riconoscimento delle responsabilità di Eni come grande emettitore».

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