Economia

Merito: il “se vuoi, puoi” è una bugia

In una società meritocratica, le persone più brave hanno successo. Però non tutti hanno lo stesso capitale sociale e questo conta, tantissimo. Per non parlare poi di pregiudizi, specialmente contro donne e giovani
Carlo Cottarelli
Carlo Cottarelli Credit: ANSA/ANGELO CARCONI   
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

Nella lettera di addio al Pd, con la quale anticipa le dimissioni da Senatore, Carlo Cottarelli attribuisce la sua scelta a 2 ordini di motivazioni. Per prima cosa, nel Pd di Schlein non si trova, dice: troppo a sinistra. E poi, manca, nei documenti dei valori del 2023, così come nella mozione Schlein per le primarie, un riferimento preciso al merito.

E io non so: davvero sarò io, ma il concetto di merito mi causa sempre sentimenti contrastanti. Perché, diciamoci la verità: il merito è fondamentale in ogni sistema, è il meccanismo che garantisce l’efficienza sul mercato del lavoro, che promuove autonomamente l’equità. In un sistema perfetto, la selezione delle persone viene effettuata in base al merito, così come la progressione di carriera o la scelta del migliore profilo per una posizione di vertice.

Il merito garantisce l’ascesa sociale: olia l’ascensore sociale, diciamo così. In un sistema meritocratico, le persone più brave vanno avanti. È il sistema stesso che si protegge e si autoalimenta al suo meglio. Per contro, se qualcuno non arriva, è perché non è capace abbastanza. O perché non ci ha messo tutto l’impegno che serviva.

E io sono affascinata da questa fiducia cieca nel meccanismo (più che nel principio) del merito. È fiducia in un sistema giusto, nel quale non contano le condizioni di partenza. E però. Le condizioni di partenza contano.

Perché, prima di tutto, esiste qualcosa che si chiama capitale sociale. Cos’è? Il capitale sociale può essere definito come l’insieme delle relazioni sociali che, in una comunità, consentono di sviluppare un maggior grado di fiducia e quindi una diminuzione dell’incertezza negli scambi. Lo dico in altri termini: nascere, crescere e frequentare le scuole in un quartiere del centro di una grande città dà accesso a una rete di relazioni che può rendere la vita più facile, man mano che si cresce. E che, tendenzialmente, chi vive in un piccolo centro delle aree interne fatica di più a coltivare.

Non a caso, uno degli autori più importanti tra quelli che si occupano di capitale sociale, James Coleman, lo mette in chiaro: è questo un fattore che rende possibili all’individuo obiettivi altrimenti non raggiungibili. E già questo dà luogo a una prima serie di perplessità.

Ma poi, perché il meccanismo del merito sia perfettamente funzionante, non dovremmo avere anomalie di sistema, come a esempio la corruzione. O anche gli stereotipi. E di entrambi, in alcuni Paesi più che in altri, ne abbiamo a secchi.

Nel nostro, per esempio (lasciando da parte la corruzione) a distorcere il meccanismo perfetto del merito intervengono diversi tipi di pregiudizio. Non solo quello nei confronti delle donne (e infatti, abbassiamo la media europea per tasso di occupazione femminile), ma anche i numerosi stereotipi che riversiamo sulle persone giovani.

Il fenomeno della Great Resignation? Sono solo i giovani che non hanno voglia di far nulla. Sono choosy, bamboccioni, mammoni. Comunque, inadeguati. Peccato che, secondo Istat, nel 2022 la disoccupazione giovanile nel nostro Paese sia tra le più alte in Europa. Cioè, le persone tra i 15 e i 24 anni cercano attivamente un lavoro, ma il 23,7% di loro (quasi 1 su 4) non riesce a trovarlo. Possiamo rimproverarli seriamente di avere paura del futuro?

In questo Paese, prima ancora di parlare di merito, mi chiedo se non dovremmo garantire che tutte le persone possano avere le stesse opportunità. Livellare eventuali svantaggi (o privilegi) iniziali. Ancor prima, osservarli e riconoscerli, quei privilegi. Perché, a parità di merito, i fattori di contorno possono essere invece determinanti. Perché a volte, tutto questo non lo vediamo soprattutto noi che siamo nati e cresciuti con numerosi privilegi. Ma soprattutto perché guardare solo al merito, senza vedere in quanti modi possa essere scarsamente rilevante può essere consolante, ma non aiuta.

E perché “se vuoi puoi” è una narrazione falsa e pericolosissima.

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