Ambiente

1,56 miliardi di mascherine sono finite nell’oceano

I rifiuti da pandemia stanno contaminano tutta la catena alimentare: un solo dispositivo di 3 grammi può disfarsi in mare in 3.000 microplastiche. Mettendo a rischio dai più piccoli crostacei all’uomo
Sono 1.370 trilioni le microplastiche da mascherine diffuse nei mari.
Sono 1.370 trilioni le microplastiche da mascherine diffuse nei mari.
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10 febbraio 2022 Aggiornato alle 07:00

Passeggiando su una qualsiasi spiaggia in questi 2 anni abbiamo imparato a vederle sempre più spesso: mascherine sulla sabbia, in mare, abbandonate sui litorali o riportate a riva dalle onde. Quello che non abbiamo imparato è gestire questo rifiuto connesso alla pandemia: adesso quelle mascherine rischiano infatti di trasformarsi in una profonda minaccia sia per l’ecosistema marino sia per la catena alimentare che arriva fino a noi.

Uno studio condotto dai ricercatori della City University di Hong Kong e pubblicato su Environmental Science and Technology Letters fa il punto sui possibili danni di questi oggetti, fondamentali per la nostra protezione ma che, una volta diventati rifiuti, rischiano di trasformarsi in inquinamento da microplastica. Dal momento che circa 1,56 miliardi di mascherine sono finite nell’oceano nel 2020, il team ha stimato che nell’ambiente marino costiero sono state rilasciate oltre 1.370 trilioni di microplastiche da tutte le maschere chirurgiche scartate in modo improprio. Una quantità che può gravemente inquinare 137 milioni di metri cubi di acqua di mare, l’equivalente di riempire oltre 54.800 piscine olimpioniche.

Sotto la guida del ricercatore Henry He Yuhe gli scienziati hanno descritto come «il polipropilene, materiale principale ampiamente utilizzato nelle maschere chirurgiche, può rompersi sotto gli effetti del calore, del vento, delle radiazioni ultraviolette e delle correnti oceaniche, formando infine microplastiche». Queste, capaci di rimanere negli oceani anche per secoli, danno vita a una forma di inquinamento particolarmente dannoso per le specie marine. Attraverso una serie di esperimenti, come l’immersione delle mascherine nell’acqua di mare e la simulazione di correnti ed effetti degradanti, gli esperti hanno scoperto che una mascherina del peso di circa tre grammi ha rilasciato circa 3.000 microplastiche. Questi inquinanti possono avere un’elevata tossicità sui copepodi, piccolissimi crostacei marini, fonte di proteine e cibo per tantissime specie.

I copepodi sono stati esposti ad acqua di mare artificiale contenente fino a 100 microplastiche per millilitro: le microplastiche sono state ingerite e accumulate nell’intestino di questi animali. Rispetto a quelli non esposti alle microplastiche, è risultato che la fecondità riproduttiva di quelli che sono stati protagonisti dell’esperimento è stata ridotta fino al 22% e il tempo di sviluppo della maturazione è stato del 5,6% più lungo rispetto ai percorsi in natura.

Il problema è proprio che questi crostacei sono una delle fonti principali di cibo per altri animali e hanno un ruolo chiave negli equilibri degli ecosistemi marini: i pesci che li consumano, accumulano di conseguenza microplastiche, e più questo accade più gli inquinanti si diffondono nella catena alimentare che arriva fino agli esseri umani.

Inoltre la ridotta fecondità dei copepodi può portare a sua volta a una riduzione delle risorse alimentari, sconvolgendo i delicati equilibri degli oceani.

Gli esperti, con questa ricerca, sperano di accendere ancora una volta i riflettori sul problema dell’inquinamento da plastica e della cattiva gestione dei rifiuti, ricordando che lo smaltimento inappropriato delle mascherine può avere un effetto domino a lungo termine sugli ecosistemi marini costieri e le catene alimentari. Per questo motivo chiedono una migliore gestione ambientale e politiche mirate per garantire il corretto smaltimento.

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