Tutela della biodiversità: i Paesi a basso reddito sono svantaggiati
I Paesi ad alto reddito stanno agendo più rapidamente ed efficacemente per la tutela della biodiversità e la conservazione dei territori rispetto agli Stati meno abbienti. Lo afferma il nuovo studio della Michigan State University (Msu), Global Decadal Assessment of Lifebelow Water and on Land.
Questo dislivello, spiegano i ricercatori sulla rivista scientifica iScience, è preoccupante e le difficoltà di accesso alle risorse economiche di molti Governi del Sud del mondo hanno un impatto grave sugli sforzi di protezione degli ambienti marini.
«Centrare gli obiettivi riguardanti la sostenibilità è importante, ma misurare i progressi nel mantenimento e nel miglioramento della vita sulla Terra è un equilibrio delicato in un mondo interconnesso», dichiara Jianguo “Jack” Liu, guida del Msu Rachel Carson Chair in Sustainability e autore senior dello studio. La sua squadra ha analizzato e valutato i progressi di diverse Nazioni nei confronti dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, adottati nel 2015 dalle Nazioni Unite. In particolare, si è concentrata sui partenariati globali.
Tra il 2010 e il 2020 i risultati hanno superato le aspettative: la quantità di risorse naturali protette e gli sforzi per prevenirne il degrado sono stati il doppio rispetto a quelli previsti per il decennio. Nonostante ciò, è emersa una tendenza preoccupante: «Uno sguardo più attento mostra che i Paesi a basso reddito sono in ritardo e il divario tra loro e quelli ad alto reddito è diventato più ampio» dopo il 2015, afferma Yuqian Zhang, dottorando del Centro per l’integrazione dei sistemi e la sostenibilità (Csis) del Msu.
Le differenze non sono molto visibili per le iniziative che riguardano la terraferma. Infatti, per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse in maniera poco impattante e la conservazione delle aree naturali, i risultati sono molto positivi. La ricerca cita tra gli esempi 3 Paesi in Africa e in Asia: Etiopia, Madagascar e Indonesia, che hanno avviato progetti efficaci per proteggere le loro foreste e la biodiversità.
Radicalmente diverso è il percorso verso la sostenibilità degli oceani. Riguardo la riduzione dell’inquinamento dei mari e la diffusione di pratiche di prevenzione sono stati fatti alcuni passi avanti, ma sono minimi. I benefici economici dei progetti di tutela, inoltre, vengono condivisi raramente con i piccoli Stati insulari in via di sviluppo.
Anche la gestione delle acque dolci è un punto critico. Paesi con economie più dinamiche, come Croazia, Gambia e Lituania, hanno registrato aumenti significativi nelle metriche relative alla vita in fiumi, laghi e sulle coste; al contrario, in Pakistan, Fiji e Tonga, che dispongono di finanziamenti minori, si sono registrati cali.
Lo sviluppo sostenibile è una materia olistica, si legge nello studio, perciò è impossibile separare gli obiettivi locali da quelli internazionali. Secondo Zhang, bisogna «avere uno sguardo totale e scoprire i fattori di successo della sostenibilità». L’obiettivo è studiarli e renderli replicabili da Governi e istituzioni, anche in contesti diversi o più complicati.
Per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, l’Onu incoraggia la cooperazione tra i diversi Stati, la politica e il settore privato. Risultati positivi in questo senso permetterebbero infatti a molte Nazioni di gestire più consapevolmente le risorse energetiche, oltre a quelle naturali, in modo da garantirne la disponibilità anche alle generazioni future.
Riequilibrare i fondi tra i Paesi con redditi più o meno alti, anche in ottica di giustizia climatica ed emissioni storiche, è stata una delle mission della Cop 27, la Conferenza sul clima di Sharm El-Sheikh, che ha portato all’approvazione di un fondo di risarcimento, Loss and damage, per i danni subiti a causa della crisi climatica.
Agire sui progetti di conservazione permetterebbe un progresso ulteriore per i Mapa (Most affected people and areas): i Paesi più colpiti riuscirebbero a mettere in pratica strategie efficaci di resilienza e mitigazione delle conseguenze disastrose della crisi climatica, come siccità o alluvioni. Le ricadute sarebbero positive sia a livello di equità sociale, riduzione delle disuguaglianze e crescita economica.