Diritti

Se essere mamme significa diventare povere

La povertà delle madri in Italia è un tabù di cui non si parla mai
Credit: Maria Orlova     

«Mi raccomando, prima devi essere economicamente indipendente e poi avere figli, solo così potrai avere lavoro e famiglia».

Questa frase viene spesso detta alle ragazze di oggi ed è una sorta di mantra ripetuto fin dall’adolescenza da genitori preoccupati. Eppure io, ogni volta che la sento, provo una certa rabbia. Non perché non sia vera, anche io la ripeterei alle mie figlie se non avessi 2 figli maschi (per i quali viene dato per scontato).

Il punto è che questa affermazione non solo nel nostro Paese rischia di essere vuota retorica ma, peggio, di colpevolizzare le nostre figlie.

Se la precarietà non finisce mai

Facciamo un passo indietro. Prendiamo una ragazza uscita dall’università. Voti altissimi, facoltà probabilmente non Stem, ma non è davvero questo il motivo per cui troverà un lavoro precario e malpagato. È che in Italia il lavoro è così, precario e malpagato, soprattutto per le donne, oltre al fatto che permane una miserabile cultura diffusa dello sfruttamento dei e delle giovani.

Comunque questa ragazza, futura madre, si impegnerà tantissimo, comincerà a fare stage, lavori a termine, guadagnando pochissimo, pur di avere la famigerata indipendenza. Ma gli anni passeranno e il lavoro resterà sempre precario. Oppure più stabile, ma sottopagato (1.200 euro, 1.300?): impossibile essere davvero autonome con quelle cifre.

Magari questa ragazza sarà pure fortunata, avrà una casa sua oppure un fidanzato con una casa sua (sarebbe meglio per lei la prima). Così deciderà di convivere, anche lui probabilmente guadagnerà poco, ma già più di lei, come dicono i dati e forse più stabilmente. Per ora niente figli, prima la stabilità, si continua a dire.

Flessibilità, pur di avere figli

Arrivano i 30, poi i 35. Lei sempre precaria, i soldi sempre pochi (senza casa, ancora peggio); lui, dicono i dati, messo un po’ meglio. A quel punto il problema che si pone, per lei, è se aspettare la famosa indipendenza oppure fare un figlio. Perché purtroppo tertium non datur.

Che cosa dire allora a questa ragazza che deve prendere una simile decisione? Vale ancora lo slogan iniziale? Fino a che età? Quello che succede nelle famiglie italiane, in genere, è che si fa un po’ quadro. I futuri nonni magari aiutano, ma soprattutto il futuro padre dice che provvederà a tutto e lei, che guadagna di meno e porta avanti la gravidanza, deciderà di mollare un po’ sul lavoro, accada quel che accada, pur di avere un bambino.

È una scelta generosa, che andrebbe premiata e invece dopo i figli, uno e ancora peggio 2 o 3, il lavoro non migliora, peggiora. Alcune donne vengono licenziate, altre si licenziano perché conciliare è impossibile. Molte restano precarie o lo diventano ancor di più.

Raramente la carriera se ne giova, anzi diciamo pure mai, e il problema resta sempre il cattivo lavoro, perché puoi avere un asilo nido ottimo e qualche bonus, e magari i nonni che ti aiutano, ma se guadagni poco indipendente non lo sarai mai.

La donna si fa flessibile, fa rinunce, per avere figli. Sarà penalizzata per questo.

La vita grama delle madri separate

Questo schema comunque potrebbe funzionare a una condizione: che tutto rimanga così com’è, cioè che si continui a stare insieme in relativa pace e relativo amore. Ma non sempre è così. Passano gli anni e spesso capita di separarsi. E qui comincia per la madre italiana una china discendente che mai risalirà. Perché quando ti separi, tutti e 2 diventano più poveri, ma la donna di più, perché è quella che quasi sempre guadagna meno.

Altro che obbligo a mantenere lo stesso reddito, oggi per un giudice puoi guadagnare 1.000 euro ed essere indipendente, la nuova giurisprudenza non ci è affatto favorevole, e comunque dipendere da qualcuno che ti ha lasciato o che hai lasciato è sempre orribile, altro che indipendenza.

Conosco tante madri separate e la loro vita è davvero grama: sempre in lotta per avere i soldi che servono per sopravvivere, sempre terrorizzate di dire qualcosa di sbagliato perché tutto si può ritorcere contro. Donne accusate dai figli di essere “povere, vado da papà che mi dà più cose”.

Donne che subiscono violenza economica, di cui si parla pochissimo, una violenza che, per la verità, colpisce anche le madri non separate ma che dipendono economicamente dal marito o compagno. Quanta amarezza.

Ma il lavoro delle donne separate migliora? Non proprio. A 50 anni, l’età in cui in genere ci si separa, nessuno ti assume. In più spesso, proprio a causa dei soldi, le separate non si possono permettere aiuti e quindi devono dedicare tempo ai figli e alla casa, oltre che a cercare la famosa indipendenza sul lavoro per la quale però, appunto, non hanno neanche tempo.

Le (non) pensioni delle donne

Ma finché si lavora o lavoricchia almeno poverissime non si è. Il problema, e siamo al capitolo finale, è quando poi arriva l’età della pensione ma non la pensione. Se hai lavorato poco e precariamente, infatti, la tua pensione sarà infima. A meno che nel frattempo non ti sia risposata, nessuno ti aiuterà, non certo il tuo ex marito, probabilmente non i tuoi figli che hanno a loro volta cominciato una carriera precaria. Essere anziane e povere è una cosa terribile, un prezzo altissimo, troppo alto per essere diventate madri nel Paese che le madri le punisce.

Per invertire la tendenza non basta l’assegno unico, figuriamoci, e non bastano neanche gli asili che comunque sono pochi. Ci vorrebbe una politica massiccia di case per i giovani, ma ci vorrebbe soprattutto il lavoro, quello vero, quello con il welfare, con le tutele, a tempo indeterminato.

Meglio dire: avere tutto è impossibile

In Italia è merce rara, siamo l’unico Paese in Europa dove gli stipendi sono scesi, dove non esiste un salario minimo.

Una soluzione molto più efficace, come va dicendo da sempre l’economista Azzurra Rinaldi, è dare un’educazione finanziarie alle proprie figlie. Spiegare che i soldi contano e contano moltissimo.

Ma a quel punto, bisognerebbe accettare appunto che le donne, fatti due conti, decidano che un figlio non lo vogliono avere, che quel prezzo da pagare, la povertà, è davvero troppo alto.

O facciano una scelta che premia i soldi, ma non la possibilità di essere madre. Ecco perché, prima di dire la famosa frase a una ragazza, ci penserei due volte. Sarebbe più onesto raccontarle com’è davvero la realtà, a quali sacrifici per forza andrà incontro. Chiarire che no, non potrà avere tutto, almeno in Italia.

Resta infine la carta dell’espatrio, ormai sono 100.000 le persone che ogni anno che se ne vanno, non solo giovani. È dura, perché si è soli, lontani dai genitori. Se si avranno i figli, i nonni non ci saranno, invecchieranno a migliaia di chilometri di distanza. Anche questo è un prezzo altissimo da pagare. Forse meno alto dell’altro? Non so dare una risposta. Ma, sicuramente, vorrei meno ipocrisia.

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