Economia

Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi a Stellantis?

Sono colossi che hanno accumulato profitti per anni. E ora licenziano. Stiamo parlando di multinazionali, banche e Big Tech. Se vuoi sapere quali, hai scelto la rubrica giusta
Credit: EPA/FILIP SINGER
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5 maggio 2023 Aggiornato alle 10:00

Per le grandi banche, imprese del settore tech e multinazionali non è decisamente un buon momento: incertezza finanziaria e riduzioni significative degli investimenti hanno colpito le enormi aziende. Come accade per ogni crisi economica, a patire le vere conseguenze sulla propria pelle è il mondo del lavoro: non bastano riduzioni di capitale sociale e ricorso a sovraindebitamento per salvare i titoli sui mercati, spesso sospesi per eccessivo ribasso. Bisogna licenziare, tagliare le posizioni ormai superflue.

Il settore dell’automotive sta vivendo una fase di transizione decisamente impegnativo: tra i postumi di una pandemia che ha congelato le fabbriche di tutto l’Occidente, passando per l’aumento spropositato del costo delle materie prime acuito dalla guerra in Ucraina, fino alle difficoltà produttive legate alla scarsezza di semiconduttori e terre rare necessarie alla costruzione di microchip, ormai il vero e proprio epicentro nel mercato della tecnologia. E in ultimo, non per importanza: l’elettrificazione delle vetture, un’esigenza la cui importanza rimbalza tra direttive europee green e una crescente sensibilità ambientalistica da parte dei consumatori, nonostante siano ancora in pochi a potersi permettere auto elettriche.

Questa volta a decidere tagli al personale è Stellantis, holding multinazionale nata nel 2021 dall’unione di Fiat Chrysler Automobiles e il gruppo francese Psa, che racchiude in sé 24 società di produzione automobilistiche e di componentistica varia. Il gruppo, guidato da Carlos Tavares, sta valutando di tagliare circa 3.500 posti negli Stati Uniti, una percentuale ridotta rispetto ai 400.000 dipendenti in tutto il mondo, ma estremamente rilevante se a perdere il lavoro sono operai e lavoratori a paga oraria degli impianti manifatturieri.

Ne veniamo a conoscenza grazie al sindacato statunitense United Automotive Workers, che in un comunicato stampa definisce “disgustosa” la decisione del gruppo, reputandola uno “schiaffo in faccia ai nostri membri, alle loro famiglie, alle loro comunità e al popolo americano che ha salvato questa azienda 15 anni fa”.

In attesa che emergano più elementi e chiarimenti, rimane il fatto che Stellantis ha già da tempo azionato una grossa campagna di riorganizzazione del personale. Nel febbraio di quest’anno, dopo un periodo di sospensione, aveva deciso di chiudere a titolo definitivo uno stabilimento di Belvidere in Illinois, licenziando oltre 1.350 lavoratori impiegati nella produzione del SUV Jeep Cherokee. “Un’azione difficile ma necessaria - aveva commentato Tavares in una nota dove faceva riferimento a - l’aumento dei costi legati all’elettrificazione del mercato automobilistico” come una sfida impattante e sostenibile solo ritoccando le strutture produttive nordamericane.

Guardando all’Italia, la situazione appare leggermente meno problematica. Con un accordo tra Stellantis e i sindacati di categoria (meno la Fiom), il 2023 prevede che i 2.000 esuberi degli stabilimenti di Cassino, Mirafiori, Pratola Serra, Termoli e Cento non avranno una forma di licenziamento vero e proprio ma di incentivi all’esodo o scivoli.

In generale, questo tipo di accordi tra lavoratori e impresa rappresenta un modo per esortare il lavoratore a uscire volontariamente da un’azienda che ha esigenza di ridurre il personale, attraverso il pagamento di una somma aggiuntiva e parametrata a fattori come la durata del rapporto di lavoro, lo stipendio percepito o l’età del dipendente.

Nel caso in questione, per tutti coloro a cui mancano 4 anni per raggiungere la pensione verrà riconosciuto un incentivo per i primi 2 anni, sommato alla indennità mensile di disoccupazione (NASpl), mentre per tutti gli altri sarà corrisposto un incentivo variabile in base all’età, fino a più di 30.000 euro per chi ha compiuto almeno 50 anni e con almeno 24 mensilità.

Sulle orme di altri importanti player come General Motors Co. e Ford, anche Stellantis ha recentemente introdotto per 33.500 lavoratori impiegati negli Stati Uniti e in Canada (in servizio da almeno 15 anni) una programma di uscita incentivata di 50.000 dollari per i dipendenti prossimi alla pensione, mentre per tutti gli altri sarà riconosciuta una somma forfettaria basata sugli anni passati in azienda.

L’obiettivo di Stellantis è ridurre la sua forza lavoro nel modo più indolore possibile, per sé e per i dipendenti. Una riduzione dell’organico che, seppure “addolcita”, è ritenuta indispensabile dai vertici del gruppo per mantenere la promessa di arrivare nei prossimi anni a vendere automobili elettriche o ibride che coprano il 70% delle vendite europee e il 40% di quelle americane, con l’obiettivo di arrivare al 2030 con 25 modelli completamente elettrici nel proprio catalogo.

Tra le ambizioni e un mercato tremendamente agguerrito sul piano ecologista, Stellantis ha già investito 35,5 miliardi di dollari: una cifra da cui emerge l’intenzione di superare la concorrenza, ma destinata inevitabilmente, secondo lo stesso Tavares, “ad avere impatto sulla nostra presenza di business su scala globale”.

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