Diritti

Hiv: lo stigma è realtà in ambito lavorativo e medico

Mentre per 4 persone su 10 i sieropositivi non dovrebbero lavorare con chi non lo è, spiega l’Oil, Arcigay racconta a La Svolta di aver «documentato outing forzati per stato sierologico e identità di genere» in ospedale
Credit: Klaus Nielsen
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12 maggio 2023 Aggiornato alle 09:00

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha annunciato che renderà gratuito il farmaco per la profilassi pre-esposizione contro l’Hiv (Prep): uno strumento aggiuntivo di prevenzione per i negativi che hanno comportamenti sessuali a rischio elevato. Tuttavia, la quota di persone a cui l’infezione viene diagnosticata tardi è in aumento e lo stigma nei confronti dei pazienti persiste.

Anche se l’incidenza della malattia è in costante calo in Italia, le circa 4.000 nuove diagnosi l’anno portano con sé un ulteriore 30% di casi “sommersi”, ovvero persone sieropositive che non sanno ancora di esserlo. La maggior parte di coloro che contraggono il virus, per esempio, sono uomini tra i 25 e i 29 anni, ma lo scoprono solo intorno ai 39 anni.

A offrire servizi di diagnosi precoce sul territorio nazionale sono oggi ambulatori e associazioni, oltre a iniziative globali come Fast Track City. Sostenuto anche dalle Nazioni Unite, il progetto condiviso da oltre 300 città nel mondo (12 in Italia) punta a realizzare entro il 2030 la cosiddetta strategia “95-95-95”: 95% di persone con Hiv che conoscono la propria diagnosi; 95% delle persone che conoscono la propria condizione e sono in terapia antiretrovirale; 95% di persone in terapia che raggiungono la soppressione virale.

Le terapie di prevenzione e trattamento della sieropositività sono efficaci ma a influire in modo negativo sulla loro diffusione sarebbero ancora la scarsa conoscenza dell’infezione, lo stigma sociale e l’auto-stigma da parte dei pazienti stessi, che sono reticenti a rivelare la propria sieropositività. Lo studio del 2022 realizzato dall’azienda farmaceutica ViiV Healthcare mostra come 1 persona con Hiv su 2 riveli la propria condizione solo al personale sanitario da cui è seguita, e tra queste ci sono soprattutto quei pazienti che si trovano in condizioni cliniche più fragili.

La discriminazione sociale, poi, resta diffusa in vari ambienti, compreso quello lavorativo. Se, da una parte, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro riporta che quasi 4 persone su 10 pensano che ai sieropositivi non dovrebbe essere permesso lavorare a contatto con persone non affette dal virus, dall’altra alcune compagnie assicurative discriminano i propri clienti sulla base della loro sieropositività. Lo rivela l’associazione Lila, secondo cui le persone sieropositive sono escluse a priori dal mercato assicurativo. In questo caso, la discriminazione sarebbe legata all’idea, ormai ingiustificata, che le aspettative di vita delle persone con Hiv siano inferiori a quelle del resto della popolazione.

Lo stigma persiste anche nei confronti dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale dei sieropositivi in 19 città italiane delle 31 esaminate dall’associazione Arcigay, che ha monitorato i casi di discrimanzione nei confronti delle persone con Hiv avvenuti in ospedali e ambulatori. «Abbiamo documentato situazioni di outing forzati sia per quanto riguarda lo stato sierologico che l’identità di genere del paziente», racconta a La Svolta Ilenia Pennini, responsabile Salute nella segreteria nazionale di Arcigay.

«I casi di stigma si sono verificati durante visite specialistiche e dentistiche. Nonostante la legge sulla privacy sanitaria stabilisca che non sia necessario indicare la sieropositività del paziente nella fase di anamnesi, questo avviene comunque: le informazioni si trasmettono da medico a medico attraverso le cartelle cliniche e, in alcuni casi, ciò porta i pazienti a subire forme di discriminazione rilevanti da parte dei medici che esprimono nei loro confronti giudizi morali, per esempio rispetto al loro comportamento sessuale», spiega Pennini.

Nonostante le difficoltà che i sieropositivi affrontano e la discriminazione diffusa, l’analisi di Arcigay rileva che il supporto riservato alla salute mentale dei pazienti rimane tuttavia scarso. In quasi la metà delle città monitorate, infatti, ambulatori e ospedali non offrono servizi psicologici convenzionati.

Ora, grazie alla distribuzione gratuita della Prep negli ospedali sulla base della prescrizione di un infettivologo, le associazioni italiane che si sono occupate maggiormente di contrasto all’Hiv ritengono che sarà possibile aumentare i livelli di prevenzione, ma anche rendere finalmente accessibile il farmaco ai più giovani e ai gruppi di popolazione «più esposti al virus perché socialmente (e quindi economicamente) più vulnerabili».

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