Economia

Lavoro: a casa ma non da soli è la nuova opzione

In sede, da remoto o a casa, ma in compagnia. Siamo alla ricerca di nuove modalità di lavorare. Oppure di una diversa occupazione
Credit: Anna Shvets
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

Prima della pandemia, quando a proporlo erano i lavoratori, sembrava proprio che lo smart working fosse impossibile da applicare alla quasi totalità dei lavori che si svolgevano: e la connessione? E il computer? E gli orari? E la produttività?

Poi, dall’oggi al domani, abbiamo scoperto su scala mondiale che invece sì, tutto sommato si poteva fare. E anche in maniera piuttosto semplice.

In smart working molti di noi hanno passato gli ultimi tre anni. In Europa, se prima lavorava da casa l’11% delle persone occupate, attualmente questa quota è arrivata al 48%. Quasi un lavoratore su due. Abbiamo ripensato le città, disabitato interi edifici che prima erano i nostri posti di lavoro, abbiamo risparmiato sui trasporti. Abbiamo pesato di meno sull’ambiente.

Con molti effetti collaterali positivi: secondo Gallup, società che si occupa di condurre sondaggi estensivi sulla popolazione americana, sono particolarmente apprezzati la fine del pendolarismo (52% delle persone intervistate), l’incremento del benessere individuale (44%) e la possibilità di inserire impegni personali all’interno della giornata lavorativa (37%).

Siamo sicuri che faccia bene?

Ma si sta diffondendo anche una nuova narrazione rispetto allo smart working e a chi lo sceglie.

Partendo proprio dal benessere, che invece, secondo Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) potrebbe diminuire a causa dello smart working. Se da un lato le due organizzazioni confermano le implicazioni positive legate allo smart working, dall’altro però ci mettono in guardia: non per tutti i lavoratori è così.

In alcuni casi, lavorare a casa da soli, tutto il giorno, tutti i giorni, può comportare dei rischi. Quali? a esempio, si fuma di più, si tende a bere più alcool, si sta troppo tempo seduti. Con il risultato che, in molti casi, si dorme di meno e peggio.

Cosa ne pensano le aziende?

È sempre Gallup a rispondere per il sistema americano: stando ai dati raccolti in una survey realizzata su oltre 100.000 business units dimostra che ad avere performance migliori sono i gruppi composti da persone che hanno stretto relazioni più profonde.

Relazioni che, lavorando in smart working, sono più difficili da creare, consolidare e, in alcuni casi, perfino mantenere. Sarà per questo che, sempre di più, le aziende negli Stati Uniti stanno proponendo incentivi e benefit a chi decide di tornare in azienda. Del resto, anche negli Usa, secondo il Bureau of Labor Statistics, le persone che lavorano da casa sono passate dal 4,7% del totale nel 2019 al 61% nel mezzo della pandemia del 2020. e ora, sono in caduta libera: sarebbero arrivate al 26% del totale.

A casa, ma non da soli

Forse, però, una soluzione ci sarebbe. Si chiama home co-working e l’idea è questa: non tornare in ufficio e lavorare da casa, ma facendosi compagnia. La nuova tendenza che nasce in Uk presenta tratti interessanti: alcuni giorni si lavora da casa da soli, ma quando ci assale la malinconia o quando abbiamo bisogno di uno scambio, anche creativo o intellettuale, apriamo casa e invitiamo alcune persone (che scegliamo) a lavorare da noi.

Molti gli effetti positivi: anche in questo caso, si rimane alla larga dal capoufficio dispotico o dal collega insistente. Si coltivano i propri spazi. Ma allo stesso tempo si conserva l’abitudine all’interazione sociale, allo scambio, alla capacità anche di mettersi in discussione. Secondo molti, meglio a casa che in un co-working, che non solo comporta comunque delle spese extra, ma ci obbliga a condividere la giornata con persone di fatto sconosciute.

…ma se il problema, alla fine, fosse il lavoro?

Certo, c’è da chiedersi, a questo punto, se il problema non sia proprio il lavoro. Sempre secondo l’Oms, lavorare troppo aumenta il rischio di morte. Così è un bel claim, ma va spiegato meglio: lavorare 55 ore a settimana o più aumenta la possibilità di morte del 17% rispetto a chi lavora 35-40 ore a settimana.

Ma mi viene un dubbio, anzi due. Il primo: gestire lavoratori in smartworking non è per tutti. Alcuni manager hanno manie di controllo, sentono un bisogno quasi fisico di camminare con passo marziale nei corridoi e vedere le persone sedute alle loro scrivanie (magari facendo altro, ma comunque fisicamente presenti lì dove le si possa osservare). E allora, non è che tutto questo allarme sul lavoro da casa sia una narrazione in qualche modo funzionale a un ritorno alle abitudini pre-pandemia?

Il secondo: lavorare in ufficio no, ma in smartworking da soli nemmeno, il coworking non ci piace, eventualmente apriamo casa per avere compagnia, ma solo a chi scegliamo noi.

Ma non sarà che il problema è proprio il lavoro?

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