Futuro

La legge della lungimiranza

È uscito l’elenco delle mega piattaforme che devono cominciare a rispettare gli utenti, secondo le nuove regole per lo sviluppo digitale concepite in Europa. Ma la nuova normativa ha bisogno di maturare
Credit: Tara Winstead
Tempo di lettura 5 min lettura
27 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

Per quasi trent’anni, le piattaforme digitali si sono potute sviluppare senza assumersi responsabilità per le loro conseguenze sociali, culturali, economiche, politiche o ecologiche.

In qualsiasi settore tecnologico - dalla farmaceutica all’automobile, dall’energia alla siderurgia, dall’edilizia all’istruzione - l’impatto delle innovazioni è valutato in base a precise normative e le responsabilità delle aziende sono precisate.

Ma le piattaforme digitali sono state finora sostanzialmente esenti. Ebbene: in Europa, questa condizione sta finendo.

Il 25 aprile, la Commissione europea ha compiuto un passo avanti decisivo in questa direzione. Alla metà degli anni Novanta, gli Stati Uniti si stavano riprogettando. Erano usciti vincitori dal confronto con l’Unione Sovietica, ma lamentavano una perdita di competitività industriale significativa rispetto ad alcuni competitori, come il Giappone. L’amministrazione guidata da Bill Clinton e Al Gore decise che il digitale era il settore sul quale puntare per un rilancio economico. E stabilì regole tali da garantirne lo sviluppo: non solo decise di investire massicciamente nel digitale dal punto di vista militare, ma scelse di lasciare mano libera alle aziende informatiche perché potessero innovare senza trovare ostacoli normativi.

L’Europa si accodò. Le aziende hanno approfittato fino in fondo di tutto questo. Le piattaforme digitali hanno indubbiamente creato innovazioni straordinarie. Ma non hanno fatto soltanto questo. Hanno adottato ogni trucco per evitare di pagare le tasse. Hanno abusato delle loro posizioni dominanti senza pudore.

In certi casi, come a Facebook, hanno trovato strade creative per garantire a certi soci un’influenza particolare sulle loro aziende anche quando non ne avevano più la maggioranza, e così in quel contesto, le piattaforme non avevano alcuna responsabilità su ciò che gli utenti facevano con le loro tecnologie. Era una policy totalmente sbilanciata. E poiché nell’ecosistema dell’innovazione tutto è collegato, ne fecero le spese molte altre aziende - come gli editori e le compagnie di telecomunicazioni, in generale per demeriti propri ma anche per difficoltà competitive significative - e i cittadini si trovarono immersi in un sistema mediatico denso di rischi.

Il digitale ha certamente moltiplicato le opportunità di accesso alla conoscenza, ma ha anche aperto strade nuove per le violenze espressive, per nuove forme di dipendenza psicologica, per la disinformazione.

La Commissione europea ha deciso di intervenire per limitare quei rischi. E con il Digital Services Act ha stabilito che le responsabilità delle piattaforme più grandi sono particolarmente stringenti. E ha stilato un elenco di 19 servizi digitali che devono sottostare ai controlli più precisi: Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube, Zalando, Bing, Google Search.

Queste piattaforme ora hanno quattro mesi per mettersi in regola.

Per esempio, dovranno dare maggiore libertà agli utenti di usare o non usare i loro algoritmi, avranno nuovi obblighi di trasparenza sui loro termini e condizioni, dovranno proteggere i minori, ridurre la disinformazione e l’odio online, accettare che gli scienziati e i ricercatori possano accedere ai loro dati per condurre gli studi necessari a comprendere i rischi emergenti con il loro utilizzo da parte di decine di milioni di utenti.

Sulle regole per realizzare quest’ultimo decisivo punto è in corso una consultazione. Il percorso che porterà a una regolamentazione del digitale equilibrata, favorevole all’innovazione, adeguata all’impatto gigantesco e onnipresente del settore del settore, è ancora tutto da inventare.

Proprio mentre il Digital Services Act entrava in vigore, una nuova “piattaforma” ha conquistato un numero di utenti tale da farla potenzialmente entrare nel mirino della normativa: ChatGPT non rientra nell’elenco ma non è escluso che ci debba rientrare in seguito, indipendentemente dal processo di produzione dell’AI Act che sembra più accidentato di quanto si prevedesse fino all’anno scorso.

Il punto non è tanto che le leggi sono destinate a inseguire senza sosta la velocità del cambiamento del mondo delle tecnologie digitali. Il punto è che le policy devono essere concepite in modo davvero consapevole per anticiparlo.

Le leggi nella farmaceutica impongono un percorso di test molto stringenti per consentire l’accesso di nuovi prodotti al mercato. Qualcosa di altrettanto accettabile ed efficiente dovrebbe essere introdotto per ridurre i rischi di una tecnologia che estende le capacità cerebrali degli utenti ma le modella in base alle sue strutture. La legge di Moore lascia spazio alla legge di Bruxelles. Vince il più lungimirante.

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