Nella tassonomia europea, l'Ue ha incluso anche gas e nucleare.
Nella tassonomia europea, l'Ue ha incluso anche gas e nucleare.
Ambiente

Vecchi modelli energetici targati Ue

Nucleare e gas nella tassonomia europea non sono tanto un problema ecologico, ma una scelta obsoleta. Che punta a mantenere vivo il mercato dei combustibili fossili e delle centrali atomiche. E non favorisce il libero mercato e i piccoli produttori di fonti rinnovabili
di Sergio Ferraris
Sergio Ferraris Direttore della rivista Nextville
Tempo di lettura 6 min lettura
8 febbraio 2022 Aggiornato alle 15:02

Tassonomia europea. Ossia la lista nella quale sono indicati gli investimenti privati necessari per arrivare alla neutralità climatica nel 2050. Si tratta di una sorta di “corsia preferenziale” per le azioni, a livello industriale, per la decarbonizzazione del Vecchio Continente, nel quale di recente con un atto delegato sono stati inseriti anche la generazione elettrica da nucleare e dal gas. Fonti che, secondo la Commissione Europea, «possano svolgere un ruolo nella transizione […], che sono in linea con gli obiettivi climatici e ambientali dell’Unione e che ci consentiranno di abbandonare più rapidamente attività più inquinanti, come la produzione di carbone, a favore delle fonti rinnovabili di energia, che saranno la base principale di un futuro a impatto climatico zero».

La notizia era attesa da alcuni mesi e voci dal retroscena riferivano di un possibile accordo tra Francia e Germania. Intesa che avrebbe consentito alla prima di proseguire per decenni nella produzione elettrica da nucleare, che oggi si attesta al 72%, e alla seconda d’incrementare da oggi la potenza produttiva elettrica da gas metano fossile - la fonte che emette meno CO2 tra le fossili - visto che ha deciso di uscire dal nucleare e deve ridurre per forza l’utilizzo della lignite e del carbone (3 fonti che nel mix energetico tedesco contano per un 39.8%). Chiaro quindi che anche se con delle limitazioni, entrambe le Nazioni necessitano della “bollinatura” da parte di Bruxelles di queste tecnologie.

Le centrali italiane

A tutto ciò si aggiunta l’Italia - seconda manifattura d’Europa dopo la Germania - che non solo ha sostenuto attivamente le richieste franco-tedesche, ma ha chiesto un allentamento dei livelli d’emissione vincolanti delle centrali a gas. Il perché è chiaro. Non si desidera mandare in obsolescenza ambientale le centrali gas italiane, la maggior parte delle quali hanno quasi compiuto i 20 anni, essendo in gran parte figlie del decreto sblocca centrali voluto nel 2002 dal Governo Berlusconi. Tralasciamo le questioni legate alla sicurezza dei reattori e all’approvvigionamento del gas che ci porterebbero fuori strada, e vediamo perché queste scelte, se fossero ratificate dal Parlamento europeo, metterebbero in serio dubbio nei fatti la volontà d’abbattere le emissioni del 55% al 2030.

Due tecnologie centralizzate

Sembrano molto diverse come tecnologie, gas e nucleare, ma hanno un punto in comune: sono centralizzate. Ossia appartengono al modello energetico del ‘900 che si dovrebbe/vorrebbe sostituire con quello distribuito, caratteristico delle fonti d’energia rinnovabili. Un “dettaglio” non da poco che ha profondi riflessi sociali. Nel modello vecchio il ruolo del consumatore è il solito, passivo, incentivato all’aumento dei consumi anche grazie alla sovrabbondanza dell’energia disponibile che viola, in questo caso, l’economia di mercato come piace agli economisti liberisti.

In campo energetico il mercato veramente libero è considerato una maledizione. E infatti gli impianti, rinnovabili, nucleari o a gas, sono spesso realizzati con cessione della fornitura per decenni a prezzo fisso, come nel caso dell’impianto fotovoltaico realizzato da una grande utility italiana che assicura la fornitura per 20 anni a 22 MW/h (in Italia le rinnovabili riescono a produrre a 67 MW/h alla pari del gas pre crisi), oppure la nuova centrale nucleare inglese di Hinkely Point 2 per finanziare la quale gli investitori cinesi hanno preteso contratti di cessione da 109 euro a MW/h per 35 anni.

Lo spauracchio dei prezzi bassi

Non deve accadere, secondo i grandi attori del mercato elettrico, che si riproponga ciò che avvenuto in passato anche se solo per poche ore in diversi Paesi europei, Italia compresa: ovvero l’eccesso di produzione elettrica da fotovoltaico, unita a una scarsa domanda temporanea e alla produzione costante degli impianti non modulabili (come il carbone e il nucleare), ha fatto sì che il prezzo dell’energia elettrica sia diventato negativo. Appare chiaro, quindi come la decisione della Commissione europea circa l’inserimento nella Tassonomia di gas e nucleare vada nei fatti dalla parte opposta della transizione energetica, nella quale il consumatore diventa anche piccolo produttore d’energia - il prosumer - autoconsumando l’energia che produce, ricorrendo sempre meno alla rete che addirittura potrebbe vedere l’energia in eccesso non utilizzata grazie al miglioramento dell’efficienza energetica.

Uno scenario da incubo per i grandi soggetti produttori e distributori d’energia, a favore dei quali è corsa in aiuto la Commissione europea. Forse anche per riparare al “danno” costituito dall’inserimento organico e strutturale dei prosumer, dei piccoli e medi impianti a fonti rinnovabili e delle comunità energetiche nel nuovo regolamento del mercato elettrico europeo, che prevede la possibilità che questi soggetti possano aggregarsi per costituire delle “grandi centrali virtuali” in grado di competere con i colossi.

I grandi impianti da riammodernare

Quale migliore strategia, allora, di “rafforzare” i grandi Golia, contro gli ancora e divisi “Davide”, affinché li strangolino prima della nascita? E non solo. C’è anche l’aspetto delle risorse per la transizione energetica, che non sono infinite. Il settore del gas andrà ammodernato rapidamente, in Italia si stanno chiedendo autorizzazioni per 15 GW a gas in sostituzione degli 8 GW a carbone che dovrebbero essere dismessi al 2025, mentre sul nucleare la partita è di proporzioni gigantesche.

Thierry Breton, da fine 2019 commissario europeo per il mercato interno e già ministro dell’Economia francese, ha di recente dichiarato alla stampa d’oltralpe che nell’Unione europea gli impianti nucleari oggi funzionanti necessitano di 50 miliardi di euro di investimenti fino al 2030, mentre quelli di nuova generazione richiederanno 500 miliardi di euro fino al 2050. Oltre a ciò, si tratta di reattori nucleari la cui vita sarà di 60 anni, come si sta facendo con quelli francesi attivi oggi. Ovvio quindi che queste scelte, se confermate, e adottate dai mercati, saranno la pietra tombale sulla transizione energetica europea perché le rinnovabili soffriranno inevitabilmente di una scarsità di risorse endemica e strutturale che ne comprometterà il pieno sviluppo.

Proseguite la lettura approfondendo su Nextville a questo link.

Leggi anche
Ambiente
di Redazione 4 min lettura
Ambiente
di Sergio Ferraris 4 min lettura