Storie

«La tivù non è maschilista». Lo dimostrano Le ragazze

Il programma racconta la giovinezza delle donne e i cambiamenti che l’Italia ha vissuto nelle diverse epoche. Ne parla Cristiana Mastropietro, fondatrice della casa di produzione Pesci Combattenti, a La Svolta
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Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
14 aprile 2023 Aggiornato alle 17:00

Ha debuttato su Rai Tre la nuova edizione de Le Ragazze, programma che porta sul piccolo schermo le storie, raccontate dalle stesse protagoniste, di donne italiane che hanno avuto 20 anni in epoche diverse e che, attraverso le loro vite, testimoniano anche l’evoluzione del Paese e del costume.

La conduzione dei 6 episodi in seconda serata e di uno speciale conclusivo, che andrà invece in onda in prime time, è affidata a Francesca Fialdini, mentre la produzione è di Pesci Combattenti. A fondarla e (tuttora) guidarla, è Cristiana Mastropietro, che ha raccontato a La Svolta l’anima del programma e la sua idea di tv.

Come avete scelto “le ragazze”?

Ogni puntata approfondisce 2 storie appartenenti allo stesso decennio. Una volta individuate le intervistate le abbiamo abbinate a coppie, cercando di creare un contrasto nella narrazione. 2 ragazze che hanno vissuto la giovinezza nella stessa epoca, pur condividendo tessuto sociale, musica, moda e idee possono aver preso strade molto differenti ed è questa diversità che ci piace approfondire. Accostiamo sempre una ragazza che ha avuto una vita pubblica a una comune, pur sapendo che di comune non c’è mai nulla perché ogni storia è straordinaria a sé.

Nella prima puntata si sono raccontate l’attrice Adriana Asti, proveniente dalla borghesia milanese, e Lillina Caputo, una merciaia di Castellana Grotte, vissuta nella provincia di Bari dove i genitori le combinarono il matrimonio.

Molte, o per meglio dire tutte, si sono ritrovare a essere esempi di emancipazione femminile, spesso inconsapevolmente.

Assolutamente. Pensiamo alla giurista Rosa Oliva de Conciliis, alla quale venne negata l’ammissione al concorso per la carriera prefettizia ma che, nel 1960, vinse il ricorso alla Corte Costituzionale che le diede ragione. Forse senza nemmeno rendersene conto ha contribuito a cambiare parte della storia del Paese perché correndo per sé ha permesso a molte donne di accedere a professioni fino a quel momento ad appannaggio maschile.

Queste storie ci insegnano, tra le altre cose, che fare da apripista in settori prettamente maschili non è semplice ma necessario, per cambiare la propria vita e quella delle generazioni future. Le ragazze di oggi lo sanno ancora o c’è il rischio che l’acquisizione di alcuni diritti sia oggi un po’ data per scontata?

Molte delle intervistate lamentano proprio questo, il silenzio da parte delle nuove generazioni, che invece non dovrebbero distrarsi perché anche se molta strada è stata fatta, il cammino è ancora lungo. Parlarne è fondamentale, anche attraverso un programma come Le Ragazze, che si rivolge anche alle giovani e ai giovani.

Vi seguono?

Tantissimo e per noi il loro riscontro è molto importante. Apprezzano soprattutto lo spirito e la tenacia delle protagoniste più anziane, che dicono sempre quello che pensano e per questo vengono percepite come moderne e coraggiose. Modelli ai quali ispirarsi insomma, riconosciuti fin dalla prima edizione, quando parlammo delle ragazze del ‘46 che raccontarono come fu votare per la prima volta proprio quell’anno, quando alle donne venne concesso volta questo diritto.

L’affetto dei ragazzi smentisce l’idea diffusa che i giovani non guardino la televisione?

Sì, anche se io su questa affermazione non sono mai stata d’accordo. Oggi con i social network se un programma fa parlare di sé è difficile non sapere di cosa si tratti o non andarlo a cercare, anche in un momento diverso dalla messa in onda. I ragazzi fanno spesso così ma poi si affezionano e aspettano la puntata.

Questo programma in tante edizioni ha cambiato 3 fasce orarie e molti giorni, ma ogni volta la gente lo aspetta e lo ritrova.

La tv tradizionale ha ancora il potere di indirizzare i cambiamenti della società o adesso con i social network e le piattaforme di streaming non più?

Io credo di sì. Ogni tanto torna in auge la frase “la tv è morta” ma poi non muore mai. Certo, oggi esistono tanti altri canali di intrattenimento ma tutto alla fine ripassa dalla televisione, che è una specie di motore che comunica verso l’esterno ma che prende anche da esso, che si nutre di altri media che a loro volta però attingono da lei.

Poi indubbiamente la platea è molto più parcellizzata di un tempo e a causa dell’offerta pressoché infinita l’audience è dimezzato rispetto a tanti anni fa però credo che ultimamente ci sia stata una resurrezione del mezzo televisivo, soprattutto dopo la pandemia che costringendo le persone in casa per lunghi periodi ha dato modo a molti di riscoprirla.

Come Pesci Combattenti avete lavorato con la casa di produzione Fascino di Maria de Filippi, che propone programmi che molti definiscono trash. Esiste ancora una tv di serie A e una di serie B o si tratta di una visione fuori dal tempo?

Credo esista la televisione fatta bene e quella fatta male, e che l’opinione del pubblico vada sempre rispettata. Se un programma ha successo per molti anni consecutivi e nonostante la concorrenza di altre piattaforme fa ogni giorno tra il 27 e il 30% di share ci sono motivazioni molto profonde e un patto con il pubblico che non viene tradito. Chi guarda da casa, a prescindere dal livello culturale, sviluppa una competenza televisiva e non lo puoi fregare. Il telespettatore è molto attento e ormai smaliziato, da erbivoro quale era gli scorsi anni è diventato un carnivoro, un predatore che sceglie cosa vedere senza essere passivo.

I programmi di Maria De Filippi sono un veicolo straordinario per i giovani, non esiste ventenne oggi che non sappia cosa succede ogni giorno a Uomini e donne o Amici, e con loro molto spesso c’è il resto della famiglia. Gli show che riescono a mettere tutti sul divano come questi, Ballando con le stelle o Sanremo, sono importanti perché dare l’opportunità alle generazioni di parlarsi sempre è sintomo di salute della società.

L’ambiente televisivo è ancora molto maschilista?

No, io nel mio lavoro non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna. L’ambito televisivo è molto aperto e misto, sia davanti sia dietro le telecamere. Personaggi femminili ineguagliabili come Raffaella Carrà, che possiamo definire la numero uno di tutti i tempi, si sono affermati in un periodo in cui per le donne non era certo semplice. La tv è un’industria ed è sempre il pubblico a decidere se piaci o meno.

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