Bambini

Le brutte storie nei templi buddhisti

Il Dalai Lama non è stato l’unico. Non si parla abbastanza delle centinaia di testimonianze che da anni raccontano le violenze dei monaci sui piccoli novizi
Credit: Sarbajit Sen
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 8 min lettura
13 aprile 2023 Aggiornato alle 13:00

Nelle ore dopo il gesto osceno (e per niente “giocoso”, come vorrebbe farlo passare il pessimo messaggio di “scuse”) del Dalai Lama, uno degli interrogativi comprensibilmente più comuni è stato: “se ha fatto questo sapendo di essere ripreso, chissà che succede a telecamere spente”.

Una possibile risposta, che se non coinvolge il capo spirituale dei buddhisti riguarda molti dei suoi monaci, la conosciamo. Sta in centinaia di testimonianze di cui forse ci è arrivata un’eco lontanissima o di cui, forse, non abbiamo mai sentito parlare, ma che denunciano da anni come quello degli abusi sui bambini sia un problema endemico e sistemico, all’interno dei monasteri buddhisti in tutto il mondo. Notizie che spesso rimangono confinate alle cronache nazionali ma che non raggiungono la diffusione planetaria che finalmente viene riservata alla copertura degli abusi all’interno della Chiesa Cattolica.

Eppure, basta una ricerca su Google per rendersi conto della portata del problema. Prova a digitare “buddhist monk children abuse” o “monks rape novices”: il risultato sarà un lunghissimo elenco di titoli come “Buddhist Monk Arrested in Bodh Gaya for Alleged Physical and Sexual Abuse of 15 Novice Monks”, “Buddhist monk accused of sexually abusing children who took classes at North Side temple”, “Buddhist monk at OC temple accused of sexually molesting 2 women when they were little girls”, “Ex-monk sentenced for further historic child sexual abuse in Brighton”, “Fear for Sri Lankan temple boys”, “Ex-Monk Arrested 6 Years After Allegations of Raping 12 Novices”, “Abbot raped teen for five years, refuses to exit monkhood”.

Le notizie arrivano dai 4 angoli del mondo, segno che non si tratta di “mele marce” o singoli casi isolati: “Il sistema è malato - ha spiegato Sanitsuda Ekachai sul Bangkok Post - Gravemente malato. Eppure il clero continua a chiudere un occhio su questi crimini atroci che stanno accadendo proprio sotto il loro naso per proteggere la sua immagine”. Il suo articolo I templi non son più un posto sicuro per i bambini è uscito il 30 ottobre 2019. Niente sembra essere cambiato nel frattempo.

I monaci continuano a godere di una diffusa impunità, “protetti da una cultura di paura e segretezza”. È interessante notare, spiega Ekachai, che a volte i crimini sono rivelati dagli stessi monaci pedofili quando pubblicano videoclip di atti sessuali o post in cui si vantano delle loro conquiste sessuali sui social media”. In molti casi, invece, gli abusi emergono quando le condizioni di salute delle vittime rendono impossibile nasconderli ulteriormente, come nel caso del 12enne ricoverato per un’infezione anale (era stato stuprato da un monaco 66enne per oltre 6 mesi) o del 14enne ricoverato dopo essere stato violentato da 3 uomini o, ancora, della 18enne rimasta incinta dopo 5 anni di abusi.

Avere una stima precisa della portata del fenomeno è impossibile. Inutile cercare. Lo studio del 2019 di Phra Priyaphong Khunpanya relativo al cattivo comportamento dei monaci, condotto su circa 100 notizie e citato da Ekachai, mostrava che un terzo riguardava una condotta sessuale. “La maggior parte degli autori sono monaci anziani con un’alta istruzione clerica. Molti sono gli stessi abati”.

Ma anche questo dato potrebbe essere grandemente sottostimato. Come ricordava già nel 2012 la Cnn nell’articolo La piaga nascosta degli abusi religiosi sui minori in Sri Lanka, secondo i dati dell’Autorità nazionale per la protezione dell’infanzia (Ncpa) solo 3 monaci buddhisti erano stati condannati per abusi su minori in Sri Lanka nella storia recente. Un numero decisamente molto più basso rispetto al risultato di una ricerca condotta dal servizio cingalese della Bbc, che ha rivelato che quasi 110 monaci buddhisti sono stati accusati di aggressioni sessuali e fisiche su minori in Sri Lanka solo nel decennio precedente. La maggior parte di questi casi, però spiega il giornalista Saroj Pathirana, in particolare quelli di natura sessuale, “sono stati appena riportati dai media dello Sri Lanka e raramente hanno portato a condanne”.

Anche in Myanmar, riporta il Time, “è impossibile dire quanti subiscano abusi, dal momento che vengono tenuti pochi registri, ma ci sono ben 300.000 bambini che vivono nei monasteri secondo alcune stime delle organizzazioni per la sicurezza dei bambini. Lì, gli sfortunati possono trovarsi sotto la stretta supervisione di individui senza scrupoli che hanno preso i voti monastici ma non hanno formazione o esperienza nella cura dei bambini e le cui storie personali o criminali possono essere sconosciute”.

“Decine di migliaia di bambini in India, Bhutan, Nepal, Sri Lanka e altri Paesi asiatici vivono da bambini monaci buddhisti. Molti sono nei templi e monasteri lontani da casa e non vedono i genitori per mesi, anche anni. Alcuni hanno appena 6 anni”, aggiunge Deborah W. Parkes dell’University of Ottawa nell’articolo Bringing Child Buddhist Monks into the Alternative Care Conversation: Reflections on an Under-considered Group of Children, in cui “identifica i rischi e le vulnerabilità che i monaci bambini possono affrontare, incluso quello di abusi sessuali. Riflette su come gli aspetti dell’affidare i bambini piccoli a vivere da monaci non si adattino necessariamente ai principi articolati nella Convenzione sulla Diritti del fanciullo (Unga, 1989) e le Linee guida delle Nazioni Unite per l’Accoglienza alternativa dei bambini (Unga, 2009)”.

Nonostante i resoconti sempre più diffusi degli abusi, spiega l’autrice “ho trovato poco, tuttavia, che suggerisce che i rischi e le realtà di abusi sessuali su minori nei monasteri buddhisti siano affrontati in maniera capillare. Un monaco con cui ho parlato ha detto che molte persone all’interno della sua comunità sono consapevoli del problema ma ritengono che sarebbe un tradimento della propria comunità parlarne pubblicamente. Opinioni simili mi sono state trasmesse da altri. Per quanto riguarda l’abuso sessuale, i fattori che portano a tenerlo nascosto o a non parlarne sono complessi. In Sri Lanka, il potere politico del clero buddhista di alto rango può contribuire a frenare il discorso, come suggerito da un recente caso in cui un ministro del governo è stato obbligato a scusarsi con il sommo sacerdote di un ordine religioso buddhista per aver parlato degli abusi sessuali su minori nei templi”.

Ad alimentare il clima di impunità c’è anche lo scarso potere economico e sociale del contesto di provenienza: moltissimi tra i monaci minorenni provengono da condizioni economiche precarie (in molti casi la vita monastica è una scelta proprio per la possibilità di garantire vitto, istruzione e un modo per uscire dalla povertà) e da famiglie che, nemmeno volendo, potrebbero riuscire a far ascoltare la propria voce in opposizione a quella delle istituzioni religiose.

«Non siamo istruiti. Vogliamo che i nostri figli siano istruiti. Quindi, abbiamo mandato nostra figlia al monastero - ha raccontato al Time la madre di Aye Chan May (il nome è di fantasia), una delle vittime della violenza sessuale di un monaco che, oltre a lei, ha abusato di altri 3 bambini per mesi - Non mi aspettavo che sarebbe successo in un monastero».

«Se fosse stato un uomo normale, lo avrei accoltellato quel giorno. Ma non potevo farlo perché era un monaco» ha detto al Myanmar Now la madre di un’altra vittima. Secondo i genitori di 4 bambine abusate, il monaco che le ha violentate ha «approfittato della povertà e della mancanza di istruzione delle famiglie locali».

È difficilissimo che laici e genitori riferiscano comportamenti problematici, a causa di un percepito status di inferiorità. Il profondo rispetto culturale per i monaci, spiega il Time, “combinato con i buchi nel sistema educativo della nazione, lascia i bambini affidati alle cure monastiche particolarmente vulnerabili. L’enfasi data all’armonia nei monasteri può anche funzionare per imbavagliare le vittime e gli aspiranti informatori. L’antropologo e ricercatore Ward Keeler afferma che crea un ambiente in cui le infrazioni, persino gli abusi sessuali, vengono regolarmente trascurate”. Questo è valido per il Myanmar, ma le cronache e le testimonianze disponibili mostrano le violenze dentro ai templi siano un problema a tutte le latitudini.

Lo dimostra un altro episodio cingalese che porta alla luce non solo quanto il problema sia diffuso, ma anche il destino di chi prova ad alzare la voce. In questo caso, la voce della madre di un novizio 14enne, abusato e stuprato da 2 medici e 1 insegnante del tempio così brutalmente da richiederne l’ospedalizzazione.

«L’ho detto alla polizia. Ma la polizia ha impiegato 3 giorni per registrare la mia denuncia. Il capo dei monaci del tempio mi ha supplicato di non rendere pubblico l’incidente. Ha detto che si sarebbe ucciso se l’avessi fatto. Sono io che dovrei suicidarmi. a ogni modo, quando non potevano più evitarlo, [gli accusati] si sono consegnati alla polizia il 29 maggio. Erano stati rinviati a giudizio dai tribunali. Il 6 giugno sono stati nuovamente portati in tribunale. Siamo poveri. Non possiamo combattere battaglie legali con persone potenti. Ma mio figlio ha bisogno di giustizia dai tribunali perché siamo persone impotenti. […] Tutti si sono schierati con il tempio dopo l’incidente. Siamo rimasti soli. Sono delusa da tutti i templi ora. Sono delusa da tutti i monaci».

La testimonianza è del 2016. Il titolo dell’articolo di Tiran Kumara Bangagamaarachchi sul Columbus Telegraph che la riporta è Buddhisti! Svegliatevi per proteggere i monaci novizi!. Sono passati 7 anni. Cosa stiamo aspettando ancora, tutti, a svegliarci?

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