Ambiente

Cosa sono gli invasi e come possono aiutarci contro la siccità?

L’Italia disperde ogni anno l’89% dell’acqua piovana, ma una soluzione c’è. La racconta a La Svolta Valentina Borghi, vicepresidente di Coldiretti Emilia-Romagna e presidente del Consorzio Bonifica Renana
Credit: Ravennatoday.it
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7 aprile 2023 Aggiornato alle 21:00

Ogni anno l’Italia perde l’89% dell’acqua piovana, una risorsa importantissima, che potrebbe essere usata per sostenere le 300.000 aziende agricole colpite dall’emergenza idrica. A spiegarlo è Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Ciò avviene nonostante le soluzioni per raccoglierla e riutilizzarla ci siano: bisognerebbe «realizzare una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio per conservare l’acqua e distribuirla ai cittadini, all’industria e all’agricoltura».

Il Governo Meloni li ha citati anche nel Decreto siccità, come parte della strategia delle Regioni per affrontare la crisi idrica. Saranno uno degli strumenti a disposizione della Cabina di regia e del Commissario per l’acqua, oltre agli interventi per riparare le perdite nella rete di trasporto dagli acquedotti e alla costruzione di nuove infrastrutture per soddisfare il fabbisogno urbano e rurale. Ma cosa sono gli invasi?

Si tratta di «sistemi artificiali telonati per lo stoccaggio delle acque – spiega Valentina Borghi, vicepresidente di Coldiretti Emilia-Romagna e presidente del Consorzio Bonifica Renana - Hanno diverse dimensioni: vanno da poche migliaia di metri cubi, a diversi milioni di metri cubi, a seconda delle finalità».

Molte di queste strutture sono già presenti in Italia. La loro importanza però è cresciuta nell’ultimo periodo, soprattutto nella valle del Po, dove la carenza idrica, secondo le stime delle associazioni agricole, mette a rischio un terzo della produzione di cibo, targato Made in Italy.

«La riorganizzazione del territorio con gli invasi è fortemente consigliabile, per incrementare la resilienza agricola e ambientale al Nord Italia, dove i fenomeni di siccità sono relativamente recenti», afferma Borghi.

Possono incrementare le risorse di irrigazione a disposizione dei «consorzi, oppure dare sollievo alle aziende che non ne hanno beneficiato, perché non ci arrivano o non ce ne sono abbastanza. Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) però – precisa la vicepresidente emiliana – finanzia i sistemi solo nelle aree già irrigabili».

A distinguere i diversi tipi di invasi, oltre alle dimensioni, sono gli usi. «Ci sono quelli privati o aziendali, promossi dal Piano di sviluppo rurale, per incentivare la raccolta delle acque, in caso di grandi precipitazioni e il riutilizzo in quello di siccità – spiega Borghi – Quelli interaziendali, che hanno un utilizzo plurimo da parte di diverse imprese, o quelli consortili e gli invasi di sistema».

Gli ultimi due sorgono su terreni comunali e «sono caratterizzati da volumi maggiori, per nutrire aree vaste». Spesso, sono collocati nelle valli appenniniche e alpine

oppure in aperta campagna.

«Quando, come quello che inaugureremo il 15 maggio a Castel San Pietro Terme (Bologna), sorgono vicini ai depuratori, possono rilasciare una portata costante, durante tutto l’anno – dice la vicepresidente di Coldiretti Emilia-Romagna – Quest’acqua è perfetta per essere stoccata e ha un’ottima qualità».

Secondo l’esperta di agricoltura e irrigazione, l’ideale sarebbe affiancare questi sistemi ai grandi fiumi e ai canali, «in modo che il loro percorso e la dispersione d’acqua si riducono». I vantaggi degli invasi sono molteplici, anche per il paesaggio e la natura e non solo perché garantiscono le forniture ininterrotte ai canali irrigui.

«Durante la stagione estiva, sono gli unici ambienti ad avere presenza costante di acqua – racconta Borghi – Quindi consentono la presenza di avifauna e fauna ittica, creando degli hotspot di biodiversità, specialmente se dotati di accortezze come le isole vegetate».

Permettono poi di attingere ad acque superficiali, arginando il fenomeno «dell’approfondimento dei pozzi e delle falde sotterranee». Potrebbero avere un ruolo anche nella produzione energetica, ospitando «degli impianti fotovoltaici galleggianti».

Il loro impatto ambientale è invece minore a quello delle dighe o di altri impianti, ma ci sono delle criticità. «Sono buchi telonati scavati nel terreno, semplici da realizzare, ma spesso la progettazione e le autorizzazioni richiedono molto tempo. I processi - anche tramite il Decreto Siccità - dovrebbero essere sburocratizzati. Nell’ultimo periodo, sono diventati più costosi, vista la grande richiesta».

C’è poi il problema della scarsità di precipitazioni. Però «può essere arginato, costruendo impianti di depurazione – dice l’esperta – L’acqua proveniente da questi, che viene inserita nel reticolo idrico, deve essere adatta all’irrigazione dell’insalata o delle fragole, quindi garantire una certa qualità. Stiamo lavorando con le istituzioni e le università per studiare degli standard».

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