Diritti

Gli antiabortisti americani vogliono influenzare i britannici

La vittoria in patria non basta agli attivisti statunitensi pro-life: ora tentano di “esportare” le proprie idee oltreoceano, con convegni e manifestazioni
Credit: OM
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
7 aprile 2023 Aggiornato alle 08:00

«Rifiuto l’idea che come donna io debba abortire per avere successo o per crescere professionalmente come un uomo nel mio lavoro. Non credo debba sacrificare una vita per fare ciò». Sono le parole di Phoebe Purvey, 26 anni, texana (Paese in cui l’aborto è illegale), raccolte dal New York Times per l’articolo dedicato alla Pro Life Generation nel luglio 2022, pochi giorni dopo la revoca della Roe v. Wade.

«Ciò che abbiamo da dire qui è: non abbiamo finito. Abbiamo altri passi avanti che devono essere fatti [contro l’aborto, ndr]», ha dichiarato alla Cnn William Herb, 24 anni, in occasione della March for Life del 20 gennaio 2023, la sua 50° edizione ma la prima dopo la decisione della Corte Suprema. “L’aborto è la violazione di diritti umani più significativa della nostra epoca. Prenderai una posizione?” recita il sito dell’evento: sotto, il countdown per la prossima marcia (19 gennaio 2024) insieme all’immagine di una ecografia.

Ora immagina che tutte queste parole, questi pensieri, viaggino oltreoceano e raggiungano il Regno Unito, dove l’aborto è legale fino alla 24° settimana: qui alcuni gruppi antiabortisti americani stanno cercando di “diffondere” le proprie idee tra i britannici, a suon di manifestazioni e consulenze nei Crisis pregnancy centers.

Secondo la definizione dell’American College of Obstetricians and Gynecologists, Cpc è un termine utilizzato per riferirsi a determinate strutture che si presentano come cliniche per la salute riproduttiva che forniscono assistenza a donne incinte ma che, in realtà, cercano di dissuadere le persona dall’accedere ad alcuni tipi di assistenza sanitaria riproduttiva, incluso l’aborto o le opzioni contraccettive”.

Tra le pratiche fuorvianti messe in campo dai centri, l’associazione statunitense identifica la diffusione di informazioni false relative a rischi e complicazioni dopo l’aborto, “suggerire che [la donna è] oltre i limiti locali per l’accesso” all’interruzione di gravidanza, l’utilizzo di immagini per manipolare e “far vergognare” le persone con il pretesto di informarle, minimizzare l’impatto che gravidanza e parto possono avere sulla salute della donna, pubblicità online con parole chiave specifiche come “cliniche per gli aborti” (così da influenzare i risultati sul web quando si cercano strutture che forniscano l’interruzione di gravidanza).

L’inchiesta di Panorama (programma televisivo della Bbc) ha rivelato che, “cercando online”, si possono trovare 57 pubblicità dei Cpc: “una [donna] ha detto che è stata ‘traumatizzata’ e che il centro ha provato a ‘manipolarla’ a non avere un aborto”, riporta l’emittente britannica.

Tornando all’influenza degli antiabortisti americani nel Regno Unito, a febbraio il St Marys’s College Oscott di Birmingham ha ospitato il seminario Rethink Abortion Day, che ha mostrato la portata transfrontaliera dell’attività di alcuni gruppi di attivisti pro-life statunitensi. I 4 gruppi principali coinvolti nell’evento erano tutti affiliati britannici di organizzazioni con sede negli States e alcuni relatori avevano legami stretti con gruppi della comunità nazionalista cristiana d’America, secondo il Guardian. Tra loro, Ben Thatcher, co-direttore della March for Life Uk, e Isabel Vaughan-Spruce, che aiuta a gestire la sezione nel Regno Unito della campagna texana 40 days for life.

«Quest’anno abbiamo assistito a un vero e proprio aumento delle proteste - ha dichiarato al quotidiano britannico Katherine O’Brien, portavoce della non profit British Pregnancy Advisory Services - La nostra paura con la revoca della Roe v. Wade è che non solo attivisti antiabortisti nel mondo possano sentirsi ispirati, ma anche che le organizzazioni americane pro-life possano avere una quantità di denaro che non avranno bisogno di spendere negli Usa ma che dirotteranno qui e in giro per il mondo».

D’altronde, è stato proprio un americano, Shawn Carney (presidente e Ceo della statunitense 40 days for life) a gridare, riferendosi alla Roe, «Se possiamo noi, potete anche voi» in occasione della March for Life Uk a settembre 2022.

La paura degli attivisti pro-choice è che sempre più persone seguano questo “suggerimento”: «Sappiamo che i gruppi pro-life nel Regno Unito sono stati incoraggiati dalla revoca della Roe v. Wade e che a loro piace copiare le tattiche statunitensi», ha detto Louise McCudden, Advocacy e Public Affairs Advisor alla MSI Reproductive Choice.

Ma la speranza che ciò non accada è l’ultima a morire.

Leggi anche
Una manifestazione davanti alla Corte Suprema Usa, lo scorso dicembre: in aula il caso del Mississippi Ban sull'aborto,
esteri
di Valeria Pantani 3 min lettura
La protesta fuori dalla Corte Federale americana a Los Angeles (Usa) contro la possibile revisione della sentenza Rod v Wade.
aborto
di Jennifer Guerra 6 min lettura