Il fumo sta sparendo (quasi) ovunque

2 anni fa a Brookline, una cittadina del Massachusetts, è entrata in vigore un’ordinanza che vieta alle persone nate dopo il 2000 di acquistare sigarette. L’idea era frenare i tassi di fumo giovanile senza vietare del tutto il tabacco per altre persone, cercando piuttosto di diminuire di anno in anno il numero di coloro che potevano acquistarlo. Un’iniziativa simile, combinata all’introduzione di sigarette a basso contenuto di nicotina e a drastiche restrizioni alla vendita, è in fase di applicazione in Nuova Zelanda, dove l’obiettivo è mettere fine all’ “epidemia del tabacco” entro il 2025.
Anche Singapore, Malesia e Unione europea guardano con favore alla possibilità di “liberare le nuove generazioni dalla dipendenza dal fumo”, seguendo il modello di Smoke-Free Generation. La misura, dicono i suoi sostenitori, aiuterebbe a eliminare il consumo di tabacco tra le persone più a rischio.
Dati alla mano, negli Usa, per esempio, il 99% dei fumatori giornalieri comincia prima dei 26 anni; a metà del secolo scorso, il 45% degli adulti statunitensi fumava. Nel 2020, dopo decenni di campagne aggressive, il tasso è sceso al 12,5%, ma le sigarette uccidono ancora circa mezzo milione di cittadini ogni anno: più delle vittime di incidenti automobilistici, alcol, omicidi, suicidi e droghe illegali messe insieme. Se queste condizioni dovessero persistere, il tabacco ucciderà 1 miliardo di persone nel XXI secolo, ovvero 1 ogni 3 secondi.
Per l’assemblea cittadina di Brookline che ha approvato il divieto di fumo per data di nascita, la misura è anche una questione di equità. Quasi tre quarti di tutti i fumatori statunitensi provengono infatti da condizioni socio-economiche deboli, con quelli al di sotto della soglia di povertà che hanno il doppio delle probabilità di fumare rispetto a quelli al di sopra della stessa.
Il motivo è che l’industria del tabacco ha a lungo preso di mira le comunità più povere, abbinando buoni per sigarette a buoni pasto e concentrando nei quartieri a basso reddito i rivenditori di tabacco (5 volte di più rispetto alle aree con redditi più alti). Il risultato è che tra gli americani più ricchi e quelli più poveri c’è un divario di aspettativa di vita di 15 anni associata al consumo di sigarette.
In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità riporta che i fumatori sono aumentati, arrivando al 22% della popolazione nel 2019. A 20 anni dalla legge Sirchia, che tutela la salute dei non fumatori vietando la pratica nei luoghi chiusi, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha dichiarato di star lavorando all’introduzione di ulteriori restrizioni al consumo di sigarette, anche elettroniche: il divieto di fumare potrebbe essere esteso nei luoghi pubblici all’aperto in presenza di bambini e donne incinte.
Alcuni Comuni balneari italiani già vietano l’uso di sigarette in spiaggia per ridurre i rifiuti e, dall’1 aprile, all’elenco si è aggiunta anche Riccione. Ma a precedere il divieto nazionale di fumare in luoghi pubblici affollati ci ha pensato di recente Modena, che il 21 marzo ha fatto entrare in vigore un’ordinanza che proibisce il fumo, anche con dispositivi elettronici, nelle aree gioco delle zone green vicino a uffici pubblici, scuole, fermate degli autobus e nei cimiteri; per chi viola il divieto, sono previste multe tra i 25 e i 500 euro.
Nell’ordinanza firmata dal sindaco Gian Carlo Muzzarelli si legge che “In Italia circa 85.000 sono le morti annuali connesse al fumo di sigaretta; anche il fumo passivo è un fatto nocivo per la salute e colpisce una grande parte della popolazione e rappresenta un fenomeno particolarmente preoccupante in considerazione dell’ampio numero di persone che vi sono esposte”.
Intanto in Europa il dibattito sull’estensione del divieto di fumo è in corso. Dopo la raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea nel 2009 per rafforzare la legislazione antifumo negli spazi pubblici dei Paesi membri, ora i cittadini europei chiedono, tra le altre cose, di “promuovere la prima generazione europea libera dal tabacco” entro il 2028, mettendo fine alla vendita dei prodotti a base di nicotina ai nati dopo il 2010.
Se è ancora presto per valutare gli effetti del divieto di fumo all’aperto e per età, occorre tenere presente che la criminalizzazione di pratiche considerate dannose non sempre è andata a buon fine. Per esempio, nei primi anni del proibizionismo americano il consumo di alcolici era sceso fino al 30% rispetto ai livelli precedenti, con una diminuzione dei ricoveri e degli arresti correlati al loro abuso; ma negli anni successivi il suo consumo era nuovamente salito di circa il 70%. Allo stesso tempo, l’emendamento che vietava l’alcol per ridurre la violenza domestica e la povertà aveva alimentato la criminalità organizzata negli Usa, con tassi di omicidio cresciuti del 78%.
