Bambini

Teen Voice: il primo tavolo di consulenti di giovani per giovani

Un gruppo di 70 ragazzi under 18 affiancherà il Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza di Milano, Silvio Premoli. L’obiettivo: far sentire la propria voce all’interno dei contesti istituzionali
Credit: Cottonbro studio
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
28 marzo 2023 Aggiornato alle 20:30

Un tavolo di consulenti molto speciali: non si tratta di esperti o tecnici, ma di giovani, tutti minorenni, che lavoreranno fianco a fianco al Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza di Milano, Silvio Premoli, Professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Il progetto Teen Voice nasce dall’iniziativa Urban Engagement, nell’ambito del progetto europeo Wish Mi, ma riesce a conquistarsi rapidamente un proprio raggio di autonomia. È la prima volta che i ragazzi e le ragazze di Milano possono, all’interno delle istituzioni, far sentire la propria voce.

«Fino a maggio dell’anno scorso eravamo un foglio bianco», ha spiegato a La Svolta Ornella Faranda, Eu Project Coordinator and Counselor specializzata in politiche giovanili e coordinatrice di Teen Voice. Poi è iniziata la fase operativa e sono arrivate le prime collaborazioni con Action Aid, Save the Children, Unicef e l’Albero della Vita, gli incontri nelle scuole, nei centri sportivi, per raggiungere più giovani possibili (per ora circa 400), workshop giocosi e aperti a tutti.

«Una volta abbiamo chiesto loro di immaginare i quartieri che desiderano e di costruire insieme una città di Lego. Ne è venuto fuori un esperimento interessante, in cui i ragazzi hanno fatto emergere esigenze molto concrete, la necessità di determinati servizi, di maggiore sicurezza, di iniziative culturali», ha aggiunto Faranda.

A dire il vero, perfino la figura del Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza non è poi così datata: è stata introdotta nel 2016, con l’intento di favorire il rispetto dei diritti dei bambini e dei ragazzi del capoluogo lombardo, riconosciuto lo stesso anno dall’Unicef come Città amica delle bambine e dei bambini.

Eppure, i dati registrati negli anni sembrano dirci il contrario. Secondo la classifica Qualità della vita: bambini, giovani e anziani, pubblicata nel giugno del 2022 da Il Sole 24 ore, Milano non è una città adatta ai più piccoli: un misero 60° posto (surclassato nel punteggio da Aosta e, a seguire, da Arezzo e Siena). Secondo i dati del quotidiano economico, ogni bimbo nato a Milano non avrebbe a disposizione spazio per giocare tra le mura di casa. A dare il colpo di grazia c’è anche il sovraffollamento delle classi, rispetto al quale Milano scivola al 96° posto.

Male anche sul fronte dei delitti denunciati a danno dei minori (75° posto in Italia); la metropoli si classica in fondo anche per quanto riguarda i giovani (le persone tra i 18 e i 35 anni): 95° posto, mentre sul podio troviamo Piacenza, Ferrara e Ravenna.

«A pochi mesi dal mio insediamento, pur avendo a che fare almeno da 15 anni con i diritti dei bambini, mi sono accorto, a quasi 50 anni, di aver bisogno di un confronto diretto, un canale privilegiato che raccogliere le istanze dei diretti interessati. Dopo alcuni progetti del comune di Milano, come Consigliami, che coinvolgeva i bambini dalla quarta elementare alla terza media, ho deciso di avviare un progetto a sé stante. Un progetto che potesse coinvolgere una base ampia di ragazzi, il più possibile rappresentativa della popolazione giovanile di Milano», ha dichiarato Silvio Premoli a La Svolta.

«Finora gli incontri, perlopiù conoscitivi, sono stati 3 - ha raccontato Faranda - C’è stata sin da subito una risposta positiva e una partecipazione attiva e spontanea davvero sorprendente: dal primo incontro con il Garante, con una quindicina di ragazzi appena, tutti tra i 14 e i 18 anni, siamo giunti al terzo con il doppio dei partecipanti. L’obiettivo è di arrivare a un tavolo di consulenti composto da una settantina di elementi».

Tra tutte le tematiche possibili, la sicurezza pare essere un’urgenza. «Credevo fosse una percezione amplificata a dismisura dai media, invece, diversi ragazzi presenti all’incontro hanno riportato esperienze di aggressioni, rapine o scippi».

Ma sta cambiando realmente qualcosa nel modo di fare cittadinanza attiva? «Per ora è più un obiettivo che un cambiamento in atto, uno strumento utile a formare le nuove generazioni alla partecipazione, perché anche la partecipazione si impara. E per instillare un modo di fare politica, intesa nel senso etimologico del termine: cioè occupandosi della cosa pubblica, comune a tutti».

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