Diritti

Cuba: le madri portano avanti le proteste anti governative

Amelia Calzadilla (33 anni, 3 figli) è il volto simbolo dell’opposizione. Come lei, anche altre donne sono insorte per denunciare le condizioni in cui vivono e la povertà dei loro quartieri
Credit: Afp
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27 marzo 2023 Aggiornato alle 14:00

Nel luglio 2021, Cuba è stata palcoscenico di numerose proteste contro il Governo: povertà, carenza di cibo e latte, ripetuti blackout di energia elettrica e condizioni di vita precarie aggravate dalla pandemia, sono stati i motivi che hanno portato i cittadini a scendere, per le strade per chiedere un cambiamento politico e maggiore libertà. Un malcontento sociale che, secondo il Governo e il presidente Miguel Díaz-Canel, è stato creato ad hoc dagli Stati Uniti.

Le tensioni (mai sciolte) tra Cuba e Usa sono poi peggiorate quando la presidenza Trump ha inasprito l’embargo, disponendo 243 “misure coercitive” che hanno messo ancor di più in ginocchio l’economia dell’isola che vive di turismo. Chi protesta incolpa, oltre le sanzioni statunitensi, anche il Governo (definito dai cittadini una “dittatura”), accusato di aver fatto precipitare il Paese nella miseria.

Queste manifestazioni, oltre ad avere un valore storico (era dalle rivolte di Maleconazo che non si vedeva una partecipazione così alta di cittadini), hanno anche un significato simbolico: sono soprattutto le donne a portare avanti il grido del dissenso. I volti delle madri sono infatti diventati simbolo delle proteste antigovernative.

È il 9 giugno 2022 quando Amelia Calzadilla, madre 33enne di 3 figli, tramite un video condiviso su Facebook si scaglia contro il Governo, denunciando le difficili condizioni di vita: la giovane donna ha chiesto alle autorità locali di poter accedere a un servizio di gas naturale fornito dal Governo in quanto la sua abitazione ne è sprovvista e il costo della bolletta dell’elettricità supera il suo stipendio mensile.

Lo sfogo online di Calzadilla è stato l’ennesimo tentativo di farsi ascoltare e ricevere risposte dalle autorità locali che fino a quel momento l’avevano ignorata: «La mia domanda è rivolta alle madri che come me sono preoccupate per l’elettricità, o perché non sanno cosa dare da mangiare ai loro figli. A loro chiedo: quanto ancora potete sopportare questa condizione? Perché io non ne posso più» dice Calzadilla mostrando la bolletta.

Nonostante siano state scagliate minacce e ingiurie contro la 33enne con l’obiettivo di screditare la sua immagine, insinuando a esempio che fosse pagata dagli Stati Uniti, la sua rimostranza è diventata virale e ha fatto nascere l’hashtag #TodosSomosAmelia dove altre donne e madri cubane, stanche della situazione in cui vivono, possono raccontare la propria storia.

A sostegno di Calzadilla si è schierata anche la Federazione Latinoamericana delle Donne Rurali di Cuba - Flamur, promotrice nel 2020 insieme alla Lega dei Contadini Indipendenti di Cuba dell’iniziativa Senza la Campagna non c’è Patria: le 2 associazioni, tramite una lettera inviata all’Osservatorio Cubano dei Conflitti (Occ), hanno espresso vicinanza alla donna. “A Cuba, la giovane Amelia Calzadilla con il suo discorso coraggioso ha scosso non solo la sensibilità delle famiglie urbane, ma anche di quelle rurali”, si legge nella lettera.

Donne di città da una parte e contadine dall’altra, unite per lo stesso motivo: combattere la povertà e cambiare Governo. Non è un caso comunque se dietro alle proteste di Cuba troviamo molte personalità e figure femminili: secondo Elva Orozco Mendoza, professoressa di scienze politiche alla University of Connecticut, le donne hanno dominato la resistenza in tutta l’America Latina. «Le madri sentono gli effetti che certe politiche o certe inazioni del Governo potrebbero avere sui loro figli; e per questo le persone pensano che la loro sia una lotta legittima» ha spiegato Orozco Mendoza ad Aljazeera.

E parlando di figli, non si può non nominare loro: le madri del barrio, costrette a vivere in una condizione di povertà quasi assoluta e impossibilitate a nutrire i propri figli. La disperazione di queste donne ha raggiunto livelli talmente insopportabili che, per farsi sentire, hanno decido di bloccare le autostrade insieme ai loro figli, formando lunghe catene umane; in altri casi, invece, camminano per le strade sbattendo pentole fino a quando non ritorna disponibile l’elettricità.

Bisogna ritornare a quel luglio 2021, quando le proteste sono divampate, facendo arrestare oltre 1.000 persone tra cui anche i 3 figli di Elizabeth Leon. La donna, insieme ad altre madri de La Güinera, una delle periferie più povere e segregate della capitale cubana, con strade non lastricate e palazzi pericolanti, è scesa in strada e ha iniziato la sua battaglia per la liberazione dei suoi figli, secondo lei, incarcerati ingiustamente.

Non è la prima volta che a Cuba le donne sono impegnate in prima linea nelle proteste. Nel 2003 si formò il movimento di opposizione Damas de Blanco (Ladies in White) composto da mogli e parenti di dissidenti incarcerati e desaparecido: queste donne, ogni domenica, terminata la celebrazione religiosa, indossavano abiti bianchi che simboleggiavano la pace, per poi sfilare silenziosamente per le strade.

E così, ieri come oggi, sono le donne a portare avanti il dissenso a Cuba, in attesa che la loro condizione (e quella dei loro figli) migliori.

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