Economia

Uk: Just Eat fa marcia indietro e licenzia 1.700 riders

L’azienda danese è stata la prima nel food delivery ad aver assunto i propri fattorini come dipendenti. Nel frattempo, le altre piattaforme continuano a sostenere il modello del lavoro autonomo
Credit: Claudio Schwarz
Tempo di lettura 4 min lettura
27 marzo 2023 Aggiornato alle 08:00

JustEat ha da poco licenziato ben 1.700 fattorini nel Regno Unito. Un dato che sorprende, se pensiamo che si tratta della prima azienda del settore in Europa ad aver assunto i propri riders come dipendenti a tempo pieno nel 2020, attraverso un regolare contratto di lavoro con retribuzione oraria fissa e bonus legato al numero di consegne, oltre a riconoscere un rimborso chilometrico.

Questa decisione poco si addice al modello Scoober a cui l’azienda aveva aderito, garantendo ai propri dipendenti benefici come l’assicurazione di responsabilità civile e sulla vita, ferie e indennità integrative per lavoro notturno, festività e lavoro straordinario, oltre che malattia e maternità/paternità pagata.

Ed è stata proprio l’offerta di questi benefit che, insieme agli affari in calo, ha penalizzato Just Eat rispetto ai concorrenti che fondano la propria fortuna sul lavoro di riders inquadrati come lavoratori autonomi occasionali.

Ma il modello di impiego Scoober, assicura il managing director Andrew Perry, rimarrà attivo in Europa. I riders di Just Eat Italia possono perciò dormire sonni tranquilli, o quasi. Sono soprattutto i fattorini delle consegne che lavorano per altre piattaforme come Deliveroo, FoodToGo, Glovo e Uber Eats a richiedere a gran voce maggiori tutele.

Infatti, in Italia è in vigore dal 2020 un contratto collettivo nazionale (Ccnl) che riconosce la natura autonoma del lavoro dei riders, siglato tra Assodelivery (associazione che rappresenta le piattaforme di food-delivery, esclusa Just Eat) e un unico sindacato (Ugl - Unione Generale del Lavoro). Ed è proprio per la scarsa rappresentatività di quest’ultimo che è stata fin da subito messa in dubbio la validità di questo Ccnl.

Le criticità del lavoro dei riders sono tante a partire dalla retribuzione, determinata dal numero di consegne effettuate e dal tempo impiegato per effettuarle. Ed è l’algoritmo a definire il tempo necessario per una consegna, assegnando un punteggio più alto ai lavoratori più efficienti. E più punti si hanno, più verranno assegnate consegne.

Una “corsa alle consegne” che potrebbe mettere in secondo piano l’attenzione per la sicurezza da parte dei fattorini, sebbene tutti loro (autonomi e dipendenti) abbiano copertura Inail (infortunio sul lavoro). Inoltre, c’è rischio che più riders condividano un account e che il titolare dello stesso possa far lavorare più persone sotto di sé, configurando così il caporalato.

Ad oggi, solo i dipendenti di Just Eat lavorano su turni, ricevendo una base stipendiale fissa indipendentemente dal numero di consegne effettuate.

L’azienda ha inoltre aperto in diverse città italiane hub, centri dedicati ai riders, in cui prendere in prestito mezzi sostenibili come scooter elettrici ed e-bike, rifornirsi di equipaggiamento per le consegne, o usufruire di spazi di ristoro, incontro e formazione.

In Spagna, dove la legge stabilisce che i riders sono lavoratori subordinati, è stata fatta a gennaio una multa di 57 milioni di euro a Glovo, per l’assunzione irregolare di 7.000 riders a Madrid. In Italia, sebbene alcuni tribunali abbiano sostenuto la natura subordinata dei riders, le sentenze hanno avuto effetto solo per il lavoratore che ha intentato la causa.

C’è tanta strada ancora da fare per ottenere una maggiore tutela per i quasi 30.000 riders italiani, prima di tutto attraverso una contrattazione collettiva che garantisca migliori condizioni di lavoro per tutti. Magari seguendo l’esempio di Just Eat Italia.

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