Città

Che cos’è una casa per i Millennial?

Tra stipendi che scendono e prezzi degli affitti che salgono (+40% a Milano in 7 anni), per noi nati tra l’inizio degli anni ‘80 e la metà dei ‘90 significa solo una cosa: condivisione. Ma anche appartenenza
Credit: Germàn Sáiz
Tempo di lettura 6 min lettura
24 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

Cos’è una casa? Me lo chiedevo quando da preadolescente fantasticavo con gli amici di averne una mia. Immaginavo una casa enorme, davvero sproporzionata. Immaginavo un bagno per ogni persona a cui volessi bene. Forse, nel bagno, ci mettevo l’affetto. Donando la privacy di una doccia e di un gabinetto privato, dove ammassare profumi e riservatezza, mi pareva di fare una cosa buona, nella mia casa immaginaria.

Una mia amica, invece, voleva il giardino. Un’altra una casa percorsa da un’infinità di gente. Uno, voleva una stanza con consolle. Un altro desiderava una casa per sé e per la madre. Una voleva una casa che fosse sua, di proprietà. Per non trasferirsi più. Un’altra ancora desiderava avere una casa che non fosse un istituto.

Un amico prezioso taceva sempre sui suoi sogni, perché sapeva già quello che noi sfuggiva. L’aveva imparato vedendo lo spazio ridursi, sparire, tornare per poco, venire rimosso o sbarrato da un foglio. Sapeva che la casa è un lusso ma non poteva insegnarcelo, non quando dicevamo quanto le case del nostro futuro sarebbero state meravigliose: a strappare la maglia delle fantasticherie, dopotutto, ci ha pensato la realtà.

Perché pensassimo così tanto alla casa del futuro non lo so con certezza, ma temo che già allora avessimo introiettato il simbolo più che la fantasia. Ci vendevano la casa di Barbie, dopotutto. Quella delle Polly pocket, di Winnie the Pooh e via così: nelle case dei giochi. Possedere la casa del giocattolo di tendenza era uno status non da poco. Perché la casa è controllo, è mattone, prova concreta del lavoro, ma più di tutto del successo sociale minimo.

Eppure, una nutrita porzione di persone della Generazione Y (i Millennial) una casa non se la può comprare e, con grosse probabilità, non lo potrà fare mai. La soluzione logica e immediata sarebbe l’affitto, ma per molti rimane un tabù. Come se non bastasse l’idea del prestigio economico innestata nel possesso della casa (anche attraverso l’apertura di un mutuo), gli affitti a Milano sono talmente alti che, fatta eccezione per le coppie con doppio stipendio o con un monoreddito sostanzioso, anche l’affitto di un appartamento risulta utopico.

I Millennial, però, checché ne dicano e pensino le vecchie generazioni, escono di casa e ci rimangono. Come? Semplicemente mantenendo la soluzione abitativa studentesca, pagando per una camera in affitto e condividendo gli spazi comuni di una casa. Con amici, coinquilini che poi diventano amici o persone che si desidera dimenticare: così la casa diventa accessibile e vivace.

Si fanno spese in comune, si condivide il rapporto con un proprietario e si impara a gestirsi misurandosi e confrontatosi con gli altri. La casa: eccola qui. Per una fetta di Millennial è un ambiente condiviso, privato nella stanza ma compartecipato negli altri ambienti. Dalla cucina al bagno, dal salotto ai singoli mobili, lo spazio si moltiplica e divide, si restringe e dilata.

E senza farci caso si fa di necessità virtù, perché nella casa a quote partecipate, c’è della gioia. Non sempre, perché trovare la giusta combinazione coinquilini/ spesa non è semplice. Ma quando l’equazione quadra, la casa diventa davvero “casa”: sede di riposo, affetto e sicurezza. E trovare tutto questo nella precarietà dei lavori a tempo indeterminato, con un mondo in fiamme e un sistema dei diritti in caduta libera dal 2020 è cosa rara quanto preziosa.

La città, però, non aspetta nessuno. Soprattutto la città in vendita messa su Airbnb per far fruttare ai proprietari qualcosa di più che un affitto stabile e di lungo periodo. Gli affitti brevi, rendono di più. Soprattutto a chi possiede più di un immobile.

Come denunciato dall’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran (in occasione dell’apertura del Forum dell’Abitare), gli affitti a Milano sono aumentati del 40% in soli 7 anni. Dichiarazione che accompagna la richiesta del lodo Venezia, quindi dell’istituzione di una normativa sugli affitti turistici. Lo scopo è evitare l’allontanamento dei cittadini in favore dei fruitori occasionali, che certamente spendono di più, ma contribuiscono allo svuotamento di Milano. La pressione turistica si innesta sulla spinta escludente della città che già sta mettendo al margine i redditi medi e bassi, espellendoli verso le province in un processo di gentrificazione e messa a reddito delle periferie cittadine.

I prezzi degli immobili salgono (del 3,8% nel 2022, secondo i dati Istat) soprattutto di quelli di nuova costruzione: torri che sempre più spesso bucherellano la linea bassa dei brani più periferici della città.

Oltre a reclamare il diritto all’abitare, alcuni Millennial hanno imparato a sopravvivere scivolando attraverso i drammi dei prezzi. Nel mese di aprile si terrà il salone del mobile e i prezzi degli affitti brevi aumenteranno a dismisura.

Per sopravvivere al caro affitti e agli stipendi che non aumentano, alcuni inquilini hanno capito come pagare l’affitto di 6 mesi: subaffittando lo spazio che abitano in città. Per farlo, legalmente, servirebbe il consenso del proprietario, ma onde evitare che questo annusi il guadagno e rimuova l’affitto a lungo termine, molti si sono risolti a fare in sordina.

Con l’affitto di una settimana in pieno salone (ma vale anche per la settimana della Moda) si pagano mesi di affitto, se non un anno intero. E mentre i visitatori si godono la stanza milanese come esperienza, gli Y tornano nella casa dei genitori o prendono parte al complesso gioco di incastri dell’ospitalità tra amici e letti in più.

Nelle settimane in cui Milano va di moda e gli affitti brevi schizzano alle stelle c’è chi per sopravvivere e mantenere la stabilità di una casa organizza la propria collocazione, forte della presenza di una cultura della condivisione dello spazio vitale.

Mentre i proprietari aumentano i prezzi o guardano con crescente interesse agli affitti brevi, i Millennial che non hanno acceso mutui o fruito di capitali genitoriali, galleggiano e superano la paura dell’assenza di proprietà costruendo una cultura della casa condivisa, in piena antitesi al dogma della vergogna capitale e capitalista del non potersi permettere qualcosa.

Cos’è, quindi, una casa? Per un Millennial una promessa non mantenuta. Il riscontro concreto dell’allocazione iniqua di risorse e delle modalità di esercizio del capitale. La lezione dettata a forza ai giovani è diventata la base delle nostra capacità aggregativa alternativa, quella che ci permette di avere casa e di moltiplicarne il senso senza più scadere nella parabola “proprietarista”.

Forse possediamo meno case, ma sappiamo davvero cos’è l’appartenenza. Sappiamo dare valore alla restanza e all’ospitalità che rende meno pesante la precarietà abitativa. Certo, non riguarda tutti i Millennial allo stesso modo, ma una buona parte, quella che fa le medie e che conta in termini di ricorrenza, sa esattamente cosa significa. E ha sperimentato per prima la condivisione dello spazio abitato come stile di vita, qualcosa che trascende il vivere insieme per amore e, anzi, rende più solida la scelta.

Cos’è la casa? Per i Millennial, una rete. Enorme, piena di buchi e nodi, in cui si rimane impigliati ma che non si abita da soli.

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