Economia

I big data possono aiutare con l’equità salariale

La Schneider Electric utilizza la raccolta e l’analisi dei dati per identificare disparità tra gli stipendi dei suoi 128.000 dipendenti. Un’attività che richiede figure specifiche e sempre più ricercate: i Chief Data Officiers
Credit: Standard Studio
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21 aprile 2023 Aggiornato alle 07:00

Quando parliamo di big data, spesso facciamo fatica a focalizzare immediatamente cosa siano e quale sia la loro funzione. D’altronde, si tratta di un fenomeno in continua evoluzione, strettamente connesso al progresso del mondo digitale, destinato ad assumere un’importanza sempre più grande nelle nostre vite e nel mondo del lavoro.

Potremmo identificare, in pochissime parole, i big data come una serie di dati provenienti da fonti diverse (interazioni sui social network, click su un motore di ricerca) raccolti ogni giorno dalle aziende per diversi scopi. Il rischio è che i nostri dati più intimi finiscano nelle mani di società che li utilizzino poi per fini dubbi e poco trasparenti (basti pensare allo scandalo di Cambridge Analytica). Ma esistono anche scopi più nobili, come il raggiungimento dell’equità retributiva.

La Schneider Electric, gruppo globale che fornisce servizi digitali per la gestione dell’energia e l’automazione aziendale, ha messo a punto un metodo preciso per sfruttare la raccolta e l’analisi dei dati con lo scopo di garantire salari equi ai 128.000 dipendenti che lavorano nelle centinaia di sedi sparse in tutto il mondo, Italia compresa. Ogni 3 mesi, la multinazionale modifica gli indicatori chiave di prestazione (anche detti Kpi, ossia indici che misurano l’efficacia con cui un’azienda sta raggiungendo gli obiettivi prefissati) e identifica le disparità di trattamento salariale a livello globale e locale.

Il responsabile risorse umane Manuel Sanchez promette per quest’anno «una percentuale tra il 10 e il 20% del budget destinata alla salary review» proprio per operare aggiustamenti mirati alla parità salariale nelle revisioni annuali dei salari e raggiungere l’obiettivo di un pay gap di genere inferiore all’1% a livello globale. Uno scopo ambizioso che procede parallelamente a una spinta all’inclusione sempre maggiore da parte dell’azienda, che punta entro il 2025 ad assumere il 50% in più di donne, arrivando al 40% di manager e al 30% di senior leadership di sesso femminile.

La cornice in cui si colloca questo traguardo prezioso, tuttavia, non è delle migliori: dai dati rilevati da AlmaLaurea, pur essendoci più donne iscritte all’università (il 58,7%) solo il 18% di esse sceglie corsi di studio Stem, acronimo che racchiude le discipline scientifico-tecnologiche (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Un divario che segue uno sconfortante trend europeo e mondiale che garantisce ai laureati uomini maggiore possibilità lavorative (con un tasso di occupazione dei laureati Stem di circa 10 punti percentuali in più rispetto alle giovani laureate), secondo l’Osservatorio Talents Venture e da Assolombarda; ma anche in termini di retribuzione, con buste paga per donne laureate in materie scientifiche di circa 300 euro mensili in meno di quelle dei colleghi maschi.

Un’assurda situazione che senza dubbio fa partire le donne in svantaggio, anche contando la sempre più crescente attenzione delle imprese verso settori ad alto sviluppo tecnologico come quello dei big data. Ogni mole di dati può rappresentare un forte valore competitivo per grandi e piccole aziende. Ma per saper analizzare adeguatamente questo strumento servono competenze e capacità che possono essere concentrate nelle mani di figure particolarmente qualificate: i Chief Data Officier.

Si tratta di manager con elevate competenze matematiche e statistiche a cui vengono affidati importanti responsabilità riguardo la gestione e l’utilizzo strategico dei dati all’interno dell’azienda. Una nuova figura di business che le società stanno cercando, anche a costo di pagare cifre notevoli. L’aumento esponenziale della domanda dei Cdo da parte delle aziende, unito alla scarsa offerta da parte del mercato del lavoro, provoca un aumento delle retribuzioni sia per i professionisti senior che vedono i loro compensi lievitare intorno al 15-20%, sia per i cosiddetti entry level che possono ambire al 30% in più rispetto a chi si occupa degli ambiti più tradizionali del management.

Stando all’analisi sviluppata dalla società internazionale di consulenza manageriale Heidrick & Struggles, si tratta di una retribuzione annua lorda (Ral) compresa tra i 150.000 e i 230.000 euro annui, con possibilità di crescita a seconda delle dimensioni dell’azienda.

Figure ambite dal mercato e con sempre più importanza fra gli amministratori societari (soprattutto in settori quale quello bancario e assicurativo) dove, ancora una volta, la disparità di genere si fa sentire. In Europa, tra gli executive che si occupano di big data, gli uomini sono quasi il 98% e le donne intorno al 2%.

C’è ancora molto il lavoro da fare.

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